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Cinthia Ozick (autrice poco conosciuta da noi, quanto invece discussa e esaltata negli USA), ha scritto che "la letteratura dovrebbe redimere, interpretare e decodificare il mondo, essere creata a forza per il bene dell'umanità". Questo richiamo all'eticità dello scrivere esprime il punto di vista opposto a quello dei minimalisti, eppure ha in comune con loro l'attenzione partecipe ai sentimenti più fragili delle persone comuni, la scelta non occasionale di protagonisti quotidiani in qualche modo "banali". Ma dai minimalisti si distanzia per il senso forte della storia, per il rispetto profondo del mistero inspiegabile che sta all'origine della vita e di ogni morte. E soprattutto per la moralità sofferta, non beghina, con cui il destino degli uomini, singolarmente e nella loro collettività, viene "interpretato e giudicato". Nei due racconti che Garzanti ha pubblicato sotto il titolo "Lo scialle", è l'olocausto l'evento che la Ozick assume come sfondo e ragione ultima del suo narrare. Un evento da lei non vissuto in prima persona (è nata nel Bronx nel 1928 da una agiata famiglia di ebrei russi emigrati), ma reinventato senza l'inevitabile autocommiserazione del "c'ero anch'io", e con l'indignato furore di chi non vuole tacere. Nel primo racconto, diamantino nella sua tagliente asciuttezza, una giovane ebrea nasconde in uno scialle la sua bambina sia durante l'estenuante marcia verso il lager, sia nel lager stesso. Un nazista la scopre e la schianta a morire fulminata sul filo spinato che circonda il campo. Emblema della gratuità del male, la bambina Magda schizzata contro il reticolato rimane immagine indimenticabile. Altrettanto potente è la figura della stessa Rosa, protagonista del secondo, più lungo racconto, in cui realtà e immaginazione, memoria e rimozione si confondono: Rosa è preda di allucinazioni da quando i nazisti le hanno negato anche la semplice possibilità di dimenticare, inchiodandola per sempre a una memoria insidiosa, feroce.
Poche pagine ma molto commoventi. Bel libro
Conoscevo la Ozick solo di fama, ringrazio Feltrinelli per avermi dato l'opportunità di leggerla. Un libro snello e asciutto, ma di grandissima intensità e di indiscutibile impatto emotivo. Per riflettere sull'Olocausto in maniera un pò diversa dal solito; non atrocità e maltrattamenti, ma il trauma, molto più profondo, di chi ha perso tutto. Per pensare.
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