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Quando di un autore ci si propone di ristampare in forma antologica alcuni scritti che si ritengano più attuali, si corrono grossi rischi dal punto di vista storiografico. Nel separare ciò ch'è vivo da ciò ch'è morto - o tale si ritenga - un'esperienza viene misurata sul presente, e spesso distorta, mutilata, deformata. Anche se l'assunto delle curatrici non persegue l'intento di una ricostruzione a tutto tondo del lungo cammino di Lelio Basso e, anzi, opta per un profilo attualizzante, che ignora il "teorico sistematico", si deve riconoscere che il filo conduttore prescelto, cioè la battaglia per affermare "i principi cardine di una vera vita democratica nel nostro paese e nel mondo", risulta congruo e utile proprio per comprendere i caratteri salienti, le conquiste e le sconfitte di un'appassionata militanza.
Nel panorama del socialismo italiano la figura di Lelio Basso occupa una posizione atipica e per certi versi eccezionale: "L'impegno politico è inseparabile dall'impegno culturale: sono due momenti - affermò in un'intervista del 1972 - inscindibili: se no, non si cambia veramente nulla". Il fascino da lui esercitato su quanti credevano che il socialismo dovesse essere prioritariamente una scelta etica e razionale, in grado di evitare gli opposti rischi di un massimalismo parolaio e di un riformismo arrendevole, dipendevano proprio dal vigore con cui Basso riusciva a inserire nelle effimere manovre delle correnti del Psi negli anni successivi alla crisi del 1956, quando prendeva corpo il primo centrosinistra, i grandi temi che avevano scosso gli animi agli albori del secolo, tra Seconda e Terza internazionale.
Ci tenne sempre Basso ad attenersi alla scientificità delle categorie marxiste e fino all'ultimo citò con orgoglio la data della prima tessera, il 1921. "Ora - confessò in pubblico, appena undici giorni prima delle morte - non appartengo a nessun partito ma sono e mi dichiaro socialista, perché la mia scelta fu meditata". In questa tenace fedeltà c'è qualcosa di paradossale e, forse, di nobilmente anacronistico, da non trascurare se non si vuol fare di Basso un generoso combattente per la democrazia dalle vaghe ascendenze libertarie, o un originale liberalsocialista. Il dramma della sua difficile ricerca, esposta a continue smentite, fu la verificata impossibilità, in tanti tornanti del Novecento, di rispondere alla crisi della democrazia borghese - per lui l'aggettivo era d'obbligo - facendo avanzare un ordine radicalmente alternativo, nel quale soltanto i diritti proclamati avrebbero trovato uno stabile riscontro.
Le sei sezioni in cui l'antologia si partisce documentano bene le fasi e i temi prediletti. All'inizio c'è l'incontro con Piero Gobetti e Rodolfo Mondolfo: un antifascismo che trova nella religiosità della Riforma una delle sue fonti più sicure ed è corroborato da un'intransigenza anzitutto morale. L'ammirazione per Rosa Luxemburg, tradotta e studiata con adesione di discepolo, esalta il rifiuto dell'ossificazione burocratica e rifiuta il settarismo delle élites. Basso, inoltre, insisté a più riprese sull'appoggio determinante che il fascismo ricevette dai grandi gruppi capitalistici. In un opuscolo a firma Spartaco sostenne - nel 1944 - che il dilemma era ancora "fascismo o rivoluzione proletaria, dittature di oligarchie privilegiate o governo dei lavoratori nell'interesse dei lavoratori": quasi una secca replica dell'altro dopoguerra.
Come geniale costituente, Lelio Basso dette poi un contributo memorabile per affermare le libertà civili in termini nuovi e per sospingere le istituzioni repubblicane oltre l'ipocrita formalismo dei bei principi. Il partito fu da lui concepito quale strumento indispensabile per partecipare alla formazione della volontà politica in una democrazia organizzata. Malgrado le persecuzioni subite in epoca stalinista da chi nel Psi fu più realista del re, nonostante la cruda delusione per la breve parabola del Psiup (1964-1972), Basso si mantenne fedele a una sua disciplina, fino a condividere l'opportunità di non addivenire a una rottura irrevocabile con il campo del "socialismo reale". Con il frenetico internazionalismo degli anni settanta, teso all'affermazione dei diritti dei popoli - più che dei diritti fondamentali della persona - Lelio Basso voltò le spalle, con profetico ardore, alle diplomazie asfissianti e alle angustie del dibattito italiano, intuendo l'irrompere, con la nascita di nuovi movimenti, di una dimensione globale.
Fu il suo modo, solitario e coerente, di restare socialista, e rinverdire - un cerchio sembra chiudersi - gli accenti giacobini e classisti di Prometeo Filodemo, lo pseudonimo adottato in gioventù.
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