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Anno edizione: 2006
Anno edizione: 2013
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Non avevo ancora letto nulla di Bennet e questo piccolo libro mi ha invogliato a scoprirlo meglio. Un breve scritto autobiografico in cui l’autore mette si mette a nudo, raccontando il suo percorso di accettazione di sé e della propria omosessualità. Bennet si concentra sulla propria infanzia e sulla propria adolescenza, periodo in cui si sentiva assolutamente inadeguato rispetto ai coetanei a causa del suo sviluppo tardivo. L’autore escrive benissimo la diversità che percepiva rispetto agli altri, la sua solitudine, e il suo bisogno di crearsi delle corazze protettive. Bennet riesce ad essere onesto e ad emozionare, ma nonostante la malinconia delle sue riflessioni, sono frequenti le note di ironia. Un piccolo libro che costituito da un monologo interiore, da leggere tutto d’un fiato e capace di far riflettere molto.
Un libro molto breve, ma dalla consistenza espressiva segnata dalla voce spiritosa e acuta di Alan Bennett. Questa piccola confessione racconta la vita nella pelle dell’autore dal Dopoguerra della Seconda Guerra Mondiale. L’acume di Bennett riesce a rendere irreverente anche la sua personale e drammatica storia, che molto ha a che fare con l’incapacità di trovare un posto nel mondo (cosa dovuta, in parte ma non esclusivamente, alla sua sessualità). La voce di Bennett, per questo secolo, è preziosa.
L'adolescenza è il tempo della trasformazione e del desiderio. Nel racconto biografico di Bennett, il cambiamento fisiologico tarda ad arrivare, acuendo il senso di isolamento e di inadeguatezza. Di contro, gli interrogativi sul sesso si fanno pressanti e paiono destinati a restare senza risposta. Le passeggiate serali con la contemplazione del tramonto sono il segno di una vita incerta che trova conforto nella bellezza che si riverbera sulle cose nell'istante dell'innamoramento, a prescindere dall'essere corrisposti o meno. Bennett avrà modo di trovare la sua strada più avanti negli anni. Questo breve memoir, scandito da citazioni tratte dalle opere teatrali, sa essere struggente e ironico, soprattutto nella pagine dedicate alla timidezza.
Recensioni
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Il testo è una confessione intelligente e flemmatica in cui il drammaturgo inglese guarda a se stesso come a un suo personaggio, con quel tanto di lucidità e distanza che trasforma un racconto autobiografico in un intensissimo assolo teatrale. Questa sorta di monologo drammatico fa parte di una cospicua raccolta di saggi e scritti autobiografici, pubblicata in Inghilterra con il titolo Untold Stories (2005). Scritti nel corso degli ultimi dieci anni, segnati dalla strenua battaglia dell'autore contro un tumore al colon, questi racconti contengono profonde riflessioni su una vita completamente dedicata allo studio e al teatro. Calati nel quotidiano, non peccano mai di compiacimento autobiografico né, tanto meno, lasciano trapelare fibrillazioni emotive. Anche per questo sarebbe ingiusto presentare Scritto sul corpo come un semplice coming out. Riservato e poco incline alle definizioni, Bennett non ama la nostra epoca soprattutto perché "affibbia etichette e impone categorie". Non stupisce pertanto che non abbia mai parlato prima di questo scritto della sua omosessualità. Scritto sul corpo è il tentativo di capire una diversità che condanna all'infelicità. La prosa tersa e autoironica di Bennett rievoca una pubertà "ritardata", una sorta di "aristocrazia biologica" che lo costringe ad appartarsi e che forse segna il suo destino di scrittore. Ripensando al passato, al confronto con i compagni di scuola, agli studi universitari, al suo rapporto con il padre macellaio e suonatore di violino e con l'amatissima madre, Bennett attribuisce nuovi significati alla sua esistenza che hanno il pregio di non voler essere definitivi. Frequenti citazioni di dialoghi teatrali tratti dalle sue opere, da Me, I'm Afraid of Virginia Woolf a Cocktail Sticks, stabiliscono illuminanti analogie tra la sua vita e il suo lavoro di attore e drammaturgo. Come spesso nei suoi lavori, Bennett gioca sui significati connotativi e denotativi delle parole, e la sua dissertazione sull'etichetta di "timido" che gli era stata affibbiata in gioventù è degna del più raffinato umorismo britannico. Da bravo uomo di teatro, Bennett sa creare atmosfere corali anche quando parla di se stesso, e questo libro diviene anche una fotografia a tratti impietosa dei vizi e delle virtù della media borghesia d'oltre Manica: davvero un piccolo capolavoro da leggere d'un fiato.
Susanna Battisti
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