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Da una parte due uomini soli. Dall’altra un potere anonimo e totale, invisibile e assoluto, con un compito metafisico: dosare la scrittura a uno scrittore, la notorietà a un autore, il cognome a un uomo, l’identità a una persona.
«Questo è un racconto della disperazione e della dignità, dal fondo dell’abisso totalitario sovietico. Ma è anche un’indagine sul potere»
Andrej Sinjavskij era soltanto la metà di una storia. L'altra metà si chiamava Yulij Daniel'. Insieme, i due scrittori russi sfidarono il regime sovietico con l'arma più potente e più temuta - la parola - pubblicando i loro libri in Occidente con gli pseudonimi di Abram Terz e Nikolai Arjak. Insieme, a soli quattro giorni di distanza, furono arrestati dal Kgb e nel '66 giudicati in un processo che diventò uno scandalo mondiale, il primo dopo la caduta di Chruscëv e delle illusioni riformiste. Per loro la condanna fu quasi identica, cinque e sette anni di carcere e lavoro forzato nel gulag. Su entrambi, l'ultimo giorno del processo risuonarono le parole del giudice istruttore, la sua certezza impenetrabile: "Può darsi che fra vent'anni avrete ragione voi, ma per il momento sono io che ho ragione". Poi il potere sovietico pensò di rompere il filo di quell'amicizia intellettuale tanto profonda da trasformarsi in politica, e tanto forte da tradurla in opposizione: aprì a Sinjavskij la via dell'esilio, mentre Daniel' restava confinato in patria. Sinjavskij viveva a Parigi, insegnava alla Sorbona e i suoi libri si dovevano fermare all'immenso confine dell'Urss. Così lo scrittore veniva proibito nel suo Paese fino a essere dimenticato. Più difficile la partita a scacchi tra il potere e Yulij Daniel'. Lui viveva in patria, dopo il campo era tornato a Mosca in una casa vicino alla stazione Sokol del metrò. Non svolgeva alcuna attività sospetta. Ma la sua vita, il suo nome, la sua identità lo confermavano intellettuale per sempre e dissidente in eterno. Sul suo nome calò un'ombra. Ma lui, continuamente, tra sé e sé ripeteva: Julij Markovic Daniel', scrittore e traduttore, già condannato per attività antisovietiche, uscito dal gulag, residente a Kaluga, vivente a Mosca, via Novaja Pishanaja, ingresso 3, piano secondo, appartamento numero 52. Tutto questo, per colpa di due libri.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Una narrazione a tratti discontinua per una vicenda intensa e sofferta. Pur conoscendo a grandi linee le circostanze della storia, ho fatto un po’ di fatica a organizzare il logico sviluppo degli eventi. La partecipazione dell’autore è così profonda che a volte tralascia di spiegare particolari utili per il lettore non altrettanto informato, così nomi e vicende si accavallano e soltanto a metà del libro gli eventi cominciano a collocarsi al loro posto. All’inizio il protagonista appare come un giovane un po’ incosciente che ha fatto qualche cosa di avventato senza prevederne le conseguenze. La reazione del potere è violenta e implacabile, scellerata e smodata, irragionevole nella sua testardaggine. E il ragazzo ribelle matura in fretta, diventando un uomo che non è esagerato definire eroico. Per cogliere meglio questa evoluzione , io consiglio di rileggere il capitolo 1 dopo il capitolo 6. Trattandosi di storia, un indice dei nomi sarebbe stato utile per chi ancora legge sulla carta. In ogni caso, lettura consigliata.
Ingredienti: due scrittori russi che pubblicano clandestinamente i loro libri in occidente, un processo farsa nel 1966 dopo nove anni di indagini, cinque anni di lavori forzati per spossarne il corpo e la mente, una vita da cittadino libero ma senza nome per cancellarne la memoria. Consigliato: a chi vuole interrogarsi sulla libertà di pensiero e diritto di espressione, a chi sfida il potere con le sole armi delle parole.
Recensioni
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