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recensione di Lunghini, G., L'Indice 1995, n. 9
La lettura di questo libro dovrebbe essere autoritariamente imposta a tutti quanti oggi si dicono liberali e invocano il mercato come panacea, cioè praticamente a tutti gli uomini politici italiani. Per altre ragioni dovrebbe essere imposta a tutti i giovani economisti domestici, che normalmente leggono soltanto articoli americani scritti in matematica sei mesi fa. Ho il sospetto che questo vorrebbe almeno uno dei due curatori.
Circa gli aspetti politici, si prenda questo passo: "Badisi bene che, affermando essere il mercato lo strumento adatto per indirizzare la produzione nel senso di produrre beni e servigi, precisamente nella quantità e della qualità corrispondenti alla domanda degli uomini, non si afferma che il mercato indirizzi altresì la produzione a produrre beni e servigi nella quantità e della qualità che sarebbe desiderata dagli stessi uomini. Questi fanno quella domanda che possono, con i mezzi, con i denari che hanno disponibili. Se avessero altri e maggiori mezzi, farebbero un'altra domanda: degli stessi beni in quantità maggiore o di altri beni di diversa qualità. Sul mercato si soddisfano domande, non bisogni. Una donna che passa davanti una vetrina sente un bisogno intenso del paio elegante di calze che vi è esposto; ma non avendo quattrini in tasca, o non avendone abbastanza,, non fa alcuna domanda. Il mercato è costruito per soddisfare domande, non desideri".
L'autore non è Max Weber ("L'economia capitalistica è concretamente irrazionale perché non soddisfa i bisogni, in quanto tali, bensì solo i bisogni dotati di capacità d'acquisto") n‚ Karl Marx ("L'estensione o la riduzione della produzione non viene decisa in base al rapporto fra la produzione ed i bisogni sociali, i bisogni di un'umanità socialmente sviluppata, ma in base al livello del saggio dei profitti. Essa si arresta non quando i bisogni sono soddisfatti, ma quando la produzione e la realizzazione del profitto impongono questo arresto"). L'autore è Luigi Einaudi nel saggio "Sull'economia di mercato", con l'eversivo sottotitolo "Introduzione alla politica sociale".
Anche questo è Luigi Einaudi, nella "Conclusione. il compito del mercato e come lo si può indirizzare": "Possiamo e perciò dobbiamo far sì che il mercato utilizzi le sue buone attitudini a governare la produzione e la distribuzione della ricchezza entro certi limiti, che noi consideriamo giusti e conformi ai nostri ideali di una società, nella quale tutti gli uomini abbiano la possibilità di sviluppare nel modo migliore le loro attitudini, e nella quale, pur non arrivando alla eguaglianza assoluta, compatibile solo con la vita dei formicai e degli alveari - che per gli uomini si chiamano tirannidi, dittature, regimi totalitari - non esistano disuguaglianze eccessive di fortune e di redditi'. Einaudi non condivideva il piano di J.M. Keynes e non so cosa avrebbe pensato di Fausto Bertinotti (probabilmente che era un liberale troppo impetuoso), ma non c'è dubbio alcuno che per correggere "disuguaglianze eccessive di fortune e redditi" si debbano prendere in considerazione addirittura alte imposte di successione e la tassazione di tutti i redditi.
Leggendo questi scritti viene da chiedersi come facessero mai questi autori a essere così intelligenti e vivi. Vivevano in anni ancor più difficili dei presenti, ma evidentemente c'era una dimensione nella quale gli uomini da bene potevano ancora ritrovarsi e riconoscersi. Si legga la straordinaria "Lettera a Togliatti" di Raffaele Mattioli (del 28 maggio 1947).
"Per salute, intendo - come Ella sa - la restaurazione di quelle condizioni minime del vivere civile e di quel minimo di margine economico, senza il quale non si può pensare n‚ a conservare svecchiandolo quel che c'è da conservare, n‚ a innovare quel che c'è da innovare, anche da molto profondamente e radicalmente innovare... C'è veramente chi sbandiera 'sani principii' solo per rovesciare sulle Sinistre le responsabilità dei guai che prevede e magari spera? Per le Sinistre non c'è - allo stato delle cose italiane, qui, oggi - migliore astuzia che prenderlo in parola. Si vedrà chi ha veramente a cuore le sorti del paese. E se le avessero entrambi? Sarebbe questa una gran disgrazia, anche sul terreno politico-elettorale? Non hanno forse il Suo partito e quelli vicini ad esso una loro funzione storica, la cui realizzazione non ha da ciò nulla da temere? E non hanno un interesse preminente, quello di garantire da interferenze ed avventure le possibilità dell'avvenire?... Vede, caro amico, dove mi ha trascinato, molto oltre i limiti abituali di una lettera e del mio mestiere - proprio il mio sentimento di direttore di banca verso i miei depositanti!".
Nel "Dictionnaire des idées reèues", alla voce "Economie politique" Flaubert registra: "Science sans entrailles" (nelle traduzioni: senza cuore, o senza pietà). È questa una descrizione perfetta di quel che l'economia politica è diventata oggi. L'economia politica praticata dagli "Scrittori italiani di economia", da questi autori italiani che scrivono di economia politica in italiano, non si era ancora sciaguratamente depurata dall'elemento politico e etico, n‚ aveva abbandonato il linguaggio ordinario a favore del linguaggio matematico, guadagnando così in rigor mortis e perdendo in rilevanza. Era scienza autonoma, con un oggetto e un linguaggio appropriato, ma non ancora scienza speciale, con soltanto un dialetto. Era ancora "economia politica", cioè miscela di teoria economica e di arte del governo, e non ancora e soltanto "economica". Qui non è in questione l'uso della matematica in economia, in quanto linguaggio che consente di controllare che non si aggiungano proposizioni in maniera surrettizia. Semplicemente si vorrebbero discorsi non schizofrenici: l'articolo per l'accademia e l'editoriale per il quotidiano. Si può benissimo essere interi, seguendo gli esempi che si trovano in questo libro. I giovani si consolino: si possono tenere insieme cervello, entrailles, cuore e pietà.
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