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Una lettura molto interessante per tutti coloro che operano nel mondo della scuola, un'analisi attenta e completa della rivoluzione digitale in atto nel nostro mondo. In particolare andrebbe letto dai nostri pseudo-politici, "rimasti alla preistoria" per quanto concerne la lettura della nostra società e, di conseguenza, la formulazione di idee e di proposte adatte a questa nuova realtà.
Recensioni
Siamo tutti immigrati, tutti noi che leggiamo questa recensione; i nativi sono ancora relativamente pochi, hanno al massimo vent'anni, ma stanno aumentando rapidamente e hanno potenzialità di sviluppo incalcolabili. Non stiamo parlando di qualche terra sperduta, ma del nostro mondo, dominato dalla tecnologia digitale.
È il mondo di Web 2.0, cioè del web generato dai suoi utenti, le cui caratteristiche si contrappongono in maniera radicale al sistema comunicativo degli ultimi venticinque secoli, la "galassia Gutenberg", determinata dal libro e dai suoi derivati, tra cui anche la televisione e in un certo sensi il Web 1.0, di tipo sostanzialmente monodirezionale.
Come sostiene Paolo Ferri nel saggio, "il testo gutenberghiano è il prototipo di una concezione formativa omogenea e lineare, che tende a costruire il senso della formazione attraverso l'ordinata successione dei significati giustapposti, i quali a loro volta veicolano i significati in un unico percorso che conduce dall'inizio del saggio o del messaggio formativo alla sua fine". La lettura conduce a una sintesi mnemonica individuale, che va definendosi man mano che ci si avvicina alla conclusione del testo.
I digital natives sviluppano un percorso cognitivo antitetico. Il testo non è dato, ma si forma in base alle scelte del fruitore, il percorso non è lineare, ma a rete, la possibilità di interazione con altri è molto ampia non solo nell'ambito "passivo" dell'utilizzo, ma anche in quello attivo della creazione di testi, come dimostra il caso clamoroso dello sviluppo di Wikipedia, opera enciclopedica in continuo aggiornamento, prodotta da un'immensa partecipazione (si parla in proposito di mass cooperation), sottoposta a costante autocorrezione e oggi dotata di un'attendibilità crescente.
Il percorso formativo determinato da Web 2.0 è quindi un percorso che tende a mettere a disposizione risorse sempre rinnovate e praticamente illimitate (in teoria tutto il sapere universale, perché ognuno può dare il proprio apporto), a favorire la collaborazione tra pari, a fornire stimoli e strumenti per una continua apertura di "classi virtuali", nelle quali la distinzione tra ambiti disciplinari, lingue, linguaggi, ruoli, strumenti non è praticata.
Chi è digital native si trova a suo agio in questo contesto, ma persone e organismi digital immigrants tendono direttamente o indirettamente a riprodurre, anche mediante le nuove tecnologie, le proprie modalità di trasmissione della conoscenza.
A questo livello si pone la questione della scuola: istituzione eminentemente gutenberghiana, si trova ad affrontare sia il problema del proprio ruolo e significato complessivo (che compito può effettivamente svolgere l'istituzione scolastica in rapporto con l'universo della comunicazione e della didattica informale globale?) sia quello del suo specifico campo d'azione, cioè la capacità di produrre conoscenze organizzate e fornire metodi di ricerca.
In entrambi i campi tra la scuola e la "società informazionale" rischia di prodursi una frattura molto pericolosa, sia per la scuola, sempre più sentita dai natives come un polveroso retaggio del passato, sia per le giovani generazioni, che non ricevono un'educazione ai media capace di aiutarli a codificare in maniera critica e consapevole la molteplicità di messaggi che ricevono disordinatamente.
La difficoltà di compenetrazione tra istituzione scolastica e realtà dell'informatica, osserva l'autore, è resa evidente dalla scelta di molti istituti di dedicare risorse anche notevoli per costituire dei laboratori di informatica, reputati fiori all'occhiello, ma in realtà spazi chiusi e separati dagli ambienti dedicati al resto delle attività didattiche e formative, come le aule, le palestre ecc. Sarebbe invece opportuno che tutti gli edifici scolastici avessero un'adeguata dotazione di rete a banda larga wi-fi e un certo numero di computer portatili: in questo modo più facilmente l'utilizzo dell'informatica diverrebbe una competenza trasversale, cioè un'alfabetizzazione che fa da potente supporto a tutte le discipline e non un contenuto d'apprendimento disciplinare aggiuntivo agli altri.
Esempi di scuole così strutturate non mancano certo in Europa: il libro dedica un intero capitolo a un edificio scolastico sicuramente molto bello, ma anche molto particolare per l'ambiente l'Islanda in cui è situato, e difficilmente ripetibile per i costi che implica. Ma pur senza puntare a obiettivi non generalizzabili nel nostro paese, per pensare realisticamente a una scuola che tragga giovamento dalla rivoluzione informatica bisogna farsi carico degli investimenti necessari e soprattutto della formazione degli insegnanti non solo sul piano tecnico, ma anche su quello dell'atteggiamento pedagogico e culturale (nella "scuola digitale", in cui tutti possono intervenire, la gerarchia lascia luogo alle competenze che ciascuno può mettere in campo), per avviare la ricerca di un nuovo equilibrio tra didattica formale e apprendimento informale. Vincenzo Viola
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