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Anno edizione: 2012
Anno edizione: 2014
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Prima di iniziare, un suggerimento: se non volete sembrare dei parvenu, ricordatevi che un Vero Tipografo non parlerà mai *dei* font, ma *delle* font, perché il nome deriva dal francese "fount", e ha come corrispondente italiano "fonte". Ma se prendete questo libro lo imparerete sin dall'inizio, non preoccupatevi. Le font sono ormai diventate onnipresenti, un qualunque word processor ve ne fa ormai usare decine e decine per non parlare di quelle liberamente scaricabili su svariati siti dedicati. Non che valga la pena usarne troppe: come il libro spiega bene, una font è ben fatta se non ci si fa caso quando si legge il testo. Il libro non vuole certo essere un manuale di tipografia: Garfield è molto più interessato a raccontare le storie dietro le principali font: alcune di quelle nate poco dopo l'entrata in uso in Europa della stampa a caratteri mobili, ma soprattutto quelle moderne e contemporanee. I capitoli denominati "intermezzo tipografico" hanno il primo paragrafo scritto nella font relativa; e nel corpo del libro ci sono almeno duecento nomi di font, tutte scritte col carattere corrispondente. Ma è forse più corretto dire che Garfield racconta anche le storie dei creatori delle font, perché spesso sono inscindibili; e racconta anche dell'evoluzione dei caratteri e di come il passare prima alla stampa in fotocomposizione e poi allo schermo del pc abbia cambiato le carte in tavola. Il libro è pieno di gustosissimi aneddoti, tradotti in modo spigliato ma allo stesso tempo tecnicamente corretto da Roberta Zuppet che è solo caduta nella definizione del Bell Centennial, che non è certo stato "creato per l'elenco telefonico della 100th Bell"! Cosa manca alla perfezione in questo libro? Beh, a parte un accenno a METAFONT che è stato il primo esempio di creazione di caratteri assistita dal computer, mi sarebbe piaciuta una carta meno porosa, per apprezzare meglio i caratteri, e magari alcuni alfabeti in corpo 28. Ma già così il godimento è stato assoluto.
Questo è un libro senza carattere. Parla, infatti, di caratteri tipografici, del loro disegno e dei loro autori, della loro storia, del loro uso. Si tratta di una ventina di capitoli, che toccano vari aspetti dell'argomento generale, intervallati da brevi "intermezzi tipografici" dedicati ciascuno a un particolare tipo di carattere. La grafica non è né speciale né particolarmente elegante; i caratteri illustrati o citati sono quasi tutti mostrati, dall'Albertus allo Zeppelin; il testo principale è composto in Garamond Simoncini (che senza dubbio ha una sua eleganza equilibrata e un po' schiva; ma gli editori italiani lo usano moltissimo, e questo lo fa apparire comune e banale). La copertina, invece, è in Bembo. Ma ecco perché è un libro senza carattere. L'editore lo presenta come nientemeno che "autentico compendio della secolare storia della tipografia" e si spinge a sostenere che "si impone come testo di riferimento per quanti desiderano conoscere l'affascinante mondo delle font". Nulla di tutto ciò. È una chiacchierata blanda e leggera, che tende all'aneddoto e al particolare curioso; ad esempio, non manca di raccontare la nota (forse troppo nota) storia di Steve Jobs che si iscrive a un corso di calligrafia, e non omette di citare le perversioni sessuali di Eric Gill. Senza dubbio è leggibile e accessibile, con qualche tocco di umorismo; ma di modesta consistenza; inoltre è alquanto anglocentrico. Una lettura che non richiede molto impegno, ma che in cambio non offre granché.
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