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Anno edizione: 2018
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L'aggettivo 'felice' ricorre, come un mantra, cinquanta volte - titolo compreso -; 'felicità' diciotto e 'contento' trenta il che, effettivamente, stride con l'andamento brumoso da noir francese nel quale mi trovo a fluttuare fin dalle prime battute: un noir dell'anima. Certo, Arpino non era un noirista in senso stretto, ma il suo modo di raccontare e l'uso dell'atmosfera - per tensione morale e stilistica - lo rendono un parente spirituale della scuola di [Manchette] e [Pagan], o almeno è quello che io ho percepito in questo suo primo romanzo pubblicato nel 1952. Ma è stato davvero felice, Giovanni, o forse tenta solo di convincersi di esserlo stato? «Non sapevo se ero felice o disperato, forse ero felice e disperato insieme e qualcos'altro ancora, troppe cose, per questo piangevo.» Il disagio è tangibile: Giovanni si barcamena alla meno peggio, con espedienti di ogni tipo, in compagnia di un paio di 'desperados' che vagolano nella Genova postbellica ferita: una città smarrita e sospesa, ma 'viva'. Loro, randagi senza meta con poche idee ma confuse: 'eravamo io, Mario e Mangiabuchi'... come resistere alla miseria con un pizzico di follia, tanto alcol e amori in svendita. Ma in fin dei conti, è anche grazie a quegli scampati che l'Italia si è ripulita dalle sue macerie. «Avrei camminato lungo i muri umidi in un fiume di ombra guardando il sole bianco dall'altra parte e tutto sarebbe stato nuovamente a posto. Adesso tutto era così sudicio e vecchio. E io avevo fame e nausea. Avevo solo ventitré anni e con una nausea di fame simile, in quello sporco, tra due anni ne avrei avuto cinquanta.» È una letteratura che mi affascina: da Pavese, Fenoglio, Vittorini e Carlo Levi ho tratto sempre soddisfazione. Dopo "Un'anima persa" e "La suora giovane", fra caruggi e neorealismo, anche da ventenne acerbo, Arpino mi ha decisamente convinto. «Caro Arpino, il suo libro mi è veramente piaciuto». Elio Vittorini
Ho infilato tre romanzi orribili per poi arrivare a questa perla. Giovanni, protagonista che si chiama come l’autore e’ un personaggio potentissimo che si fa odiare e amare allo stesso tempo. Le sue avventure si svolgono nel centro storico della stupenda città di Genova nell’immediato dopo guerra. Lui, che è un perdigiorno, spera di vivere una vita diversa linda e pulita senza però trovare la forza per cambiare e la via per riuscire a vivere felice. Mi dispiace averlo salutato alla stazione di Principe in attesa del treno che lo porterà via da quella città e di non sapere se poi ce l’avrà fatta.
Interessantissimo questo esordio di Giovanni Arpino, nel quale l'autore fa vivere al suo io immaginario una vita precaria fatta di lavori di fortuna ed espedienti derivanti dall'arte di arrangiarsi, ma anche di amori innocenti destinati a spegnersi con il peso di difficoltà sempre più incombenti, in un affresco cittadino popolato da figure quotidiane che ti riportano alla spensieratezza dei tempi che futuro. A tratti commovente il desiderio di rincorrere una vita migliore. Consigliato per i nostalgici.
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