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Quando ho finito di leggere Servi, di Marco Rovelli, ho pensato che questo era un libro sulla sparizione, su come in fondo sia facile far scomparire cose e persone senza che gli altri ne registrino la dipartita. Far sparire cose e persone è un'attività che richiede dell'applicazione, ma che con qualche piccola accortezza iniziale garantisce un risultato sicuro. La piccola accortezza iniziale è quella di non farsi cogliere nell'atto di portare via l'oggetto del ratto, e il risultato sicuro consiste nella dissoluzione definitiva. Quelle cose e quelle persone che sono state sottratte alla vista, semplicemente non sono. E, bisogna aggiungere, è come se non fossero mai state. È un metodo che ha una storia collaudata nel tempo, dagli oppositori rinchiusi dentro gli stadi alle carceri, i manicomi e gli ospizi messi al bando, disposti sul finire delle città. Ciò che il cittadino non vede non c'è, e nella città in cui vive lui non ci sono né criminali né pazzi né vecchi: la sua città è un luogo di comfort e di assenza di conflitto sociale. Basta che il cittadino non veda quello che è brutto, e se non lo vede il brutto non c'è. Esattamente come si fa con i bambini, a cui si nascondono certi giocattoli più molesti per tutti, sicuri che tanto il bambino se non vede il giocattolo è molto facile che se ne dimentichi e non lo reclami. Ecco, una società che tratta i suoi cittadini come bambini, a cui sottrae le cose perché non ne chiedano conto, è una società povera, violenta e volgare. Un paese che sottrae alla vista, condannandoli alla clandestinità, centinaia di migliaia di uomini e donne, è un paese povero, violento e volgare.
Da Rosarno a Cerignola, da Bologna a Massa a Palermo a Torino, il viaggio che ha fatto Marco Rovelli incontrando, parlando e poi raccontando i lavoratori clandestini che vivono nel nostro paese è uno dei più lucidi e al tempo stesso impietosi viaggi in Italia che siano stati scritti negli ultimi anni. È un viaggio sotto il tappeto, questo che Rovelli conduce da anni con i suoi reportage narrativi, dal girone inumano di Lager italiani (Rizzoli, 2006), incursione dentro l'inferno autorizzato dei Centri di permanenza temporanea, alle morti sul lavoro di Lavorare uccide (Rizzoli, 2008), fino a questo Servi, che è una sorta di infiltrazione, al tempo stesso impietosa e pudica, dentro il corpo malato di un'Italia diventata esperta prima di tutto a nascondere, e però ormai arrogante e sfacciata persino ad ammetterlo. Libro dopo libro Rovelli solleva i tappeti sotto cui l'Italia butta se stessa, procacciando sonni sicuri ai suoi cittadini, che però non sono che sogni chimici, perdita della coscienza prodotta per asfissia. Quando si sottrae ossigeno, il corpo umano allenta la sua presa sul mondo, i muscoli si lasciano andare, e un corpo che allenta la presa è un corpo che non combatte, che si lascia vincere da un sonno che mette sotto le palpebre tutto quello che sta al di fuori degli occhi.
Badanti, muratori, coltivatori di olive, carciofi, broccoletti, lavoratori delle città e lavoratori delle campagne: Rovelli alza il tappeto del nostro paese e li trova tutti lì, inghiottiti dentro esistenze sfrattate due volte. Una dal paese che hanno lasciato cercando minore sfortuna di quella che avevano, e la seconda in quello che non li ha accolti, ma soltanto stipati in anfratti e messi come bestie a tirare l'aratro. C'è una pietas, in questo andare a guardare dentro il corpo dell'Italia, e al tempo stesso un'intransigenza etica, l'impossibilità di non farlo, di non sedersi allo stesso tavolo di questa gente sottratta. I ritratti di questo viaggio in Italia sono il ritratto di un paese fondato sul ricatto. "Ma non puoi mica protestare, se vuoi restare qui! Metti che vai dai sindacati, si passano la voce, non ti fanno più lavorare", dice Mosef, che per di più è uno dei pochi che sono in regola, ha una casa (quella del padrone) e un permesso di soggiorno avuto con la sanatoria del 2002.
Pagina dopo pagina, testimonianza dopo testimonianza si fa largo, nella lettura, un'impressione agghiacciante, a cui non si vorrebbe pensare e che però arriva fredda lungo la schiena. L'impressione è quella di un paese con un tumore che gli sta crescendo dentro la pancia, ignorato ogni giorno e che ogni giorno si moltiplica, aumenta di volume a scapito del corpo dentro cui alberga. L'Italia è un corpo malato, che però si presenta al mondo rifatto, corretto, rimesso a posto dal lifting. È un corpo grottesco, abnorme, che ingoia tutto quello che non vuol far vedere, come un disperato che si caccia dentro lo stomaco ovuli di cocaina per non farsi arrestare. E che però ogni giorno alza la posta, e il rischio che corre è un rischio più grande. Perché l'ovulo di Rosarno è uno soltanto, e mandarlo giù è stato difficile, ma poi lo si è fatto. Ma un paese che alza il tiro ogni giorno, corre il rischio di sentirle saltare in aria tutte dentro lo stomaco, quelle cose che voleva nascondere, e di trovarsi riverso, davvero senza coscienza.
Andrea Bajani
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