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Dopo avere letto Racconti dell’Antico Egitto, scritti dal premio Nobel egiziano Nagib Mahfuz, i tredici racconti contenuti ne "Il settimo cielo" mi sono sembrati più familiari, nonostante siano profondamente pervasi di mistero e di enigmi. Il tema della levitazione, ad esempio, così in voga negli anni settanta, è anche qui presente e legato a una visione della vita ultraterrena scevra da eccessi di idolatria verso qualsivoglia divinità religiosa. È ancora una volta l’uomo al centro dell’opera narrativa di Mahfuz, nonostante l’ atmosfera esoterica che si respira attorno agli arcani e alle vicende raccontate. La prima avventura ultraterrena riguarda un giovane studente assassinato dal suo migliore amico, figlio di un usuraio privo di scrupoli. Il giovane affronta, passo dopo passo, un percorso irto di prove, compresa la reincarnazione, che iniziano nel primo cielo e che lo condurranno alla purificazione dell’anima. In "Sbadataggine", il sogno premonitore rivela il volto di colui che sarà la causa della morte del protagonista, messo in guardia dalla sbadataggine nella visione onirica che ripetutamente lo turberà fino alla conseguenza dell’incidente mortale. "La stanza n. 12" è il racconto di un episodio incredibile che sembra nascere nella mente di chi narra in un momento di grande confusione e di perdita di padronanza delle proprie facoltà. Il mistero come dimensione inesplorata del sé, capace di proiettarsi anche verso gli altri nel non luogo e fuori dal tempo. Nel breve racconto "L’unico uomo", il povero satana è alle prese con l’ultimo degli onesti. Insomma, il mio “passo dopo passo” per arrivare alla comprensione dei testi dedicati al soprannaturale da questo grande scrittore arabo, morto nel 2006, ha forse raggiunto un buon livello di familiarità con le immagini e le sensazioni da lui evocate.
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