È uscito Siamo buoni se siamo buoni, il nuovo romanzo di Paolo Nori. Ci si potrebbe affidare alla sintesi seguendo le scelte dello stesso autore, che nel risvolto di copertina ha pensato bene di presentarsi così: "Paolo Nori è nato a Parma nel 1963, abita a Casalecchio di Reno e scrive dei libri". E qui in effetti non manca nulla. L'autore si chiama Paolo Nori, e non Learco Ferrari o Ermanno Baistrocchi come molti hanno creduto in questi quindici anni. Perché sono quindici, sì, gli anni che separano il nuovo romanzo dall'esordio, o meglio dagli esordi di Paolo Nori: Le cose non sono le cose e Bassotuba non c'è. Il secondo dei due esordi, più conosciuto, raccontava della solitudine comica di Learco Ferrari e dell'assenza tragica di Bassotuba, che aveva abbandonato Learco per fuggire con un allievo di Vattimo. E l'incipit memorabile di quell'esordio, "Io sono quello che non ce la faccio", Nori se l'è portato dietro fino a Siamo buoni se siamo buoni. Come fosse un biglietto da visita, una carta d'imbarco per l'universo della letteratura in cui l'autore non teme le proprie fragilità. Un'esistenza volutamente sgrammaticata, in disparte, in cui c'è la profonda coscienza che, come disse un celebre cantautore bolognese scomparso qualche anno fa, "l'impresa eccezionale è essere normale". In Siamo buoni se siamo buoni ritroviamo Ermanno Baistrocchi, che in La banda del formaggio faceva l'editore e soffriva la morte dell'amico Paride, decantandone il testamento. E il titolo, Siamo buoni se siamo buoni, potrebbe essere considerato l'esito delle tante riflessioni del protagonista, che rivolge a se stesso una domanda che dovremmo farci tutti: "Ma io, sono buono o non sono buono?". E la risposta, a detta dello stesso Nori, non è poi così difficile. Perché l'essere o meno buoni non dipende da questioni ultramondane o dagli altri. L'essere o meno buoni dipende da noi, dalle nostre azioni, dai nostri fatti e anche, perché no, dalle nostre parole. E in questo romanzo Baistrocchi si risveglia dal coma, dovuto a un incidente stradale in cui era stato investito e aveva "picchiato la testa". E quindi a Baistrocchi viene offerta una ragione in più per apprezzare la quotidianità e soprattutto per essere buono. L'anno scorso, un simile "fattaccio" è accaduto allo stesso Nori, che è andato in coma rimanendo in ospedale per venticinque giorni. E anche in quell'occasione non ha voluto smentire la sua straordinaria normalità, riscrivendo a tempo pieno il concetto di posterità. Ha venduto ancora più copie perché in molti lo credevano morto e invece era vivo, e ha avuto un assaggio di quelle che potrebbero essere, per uno scrittore, le reazioni del pubblico al proprio testamento letterario. Al risveglio, avrà pensato subito a Ermanno, a quanto potessero somigliarsi le loro vite, a quanto le loro vite potessero somigliare alla nostra. E noi, proprio noi, come Ermanno e Paolo, dovremmo ripeterci più spesso: "Io non sono buono perché sono buono, sono buono se sono buono". (G. B.)
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