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Quest'opera, apparsa nel 1952 e accresciuta di un capitolo sull'anamnesi hegeliana nel 1962, è stata scritta negli anni del secondo dopoguerra con l'intenzione di commentare il pensiero di Hegel agli studenti universitari. Ne è uscita un'opera per nulla divulgativa o di approfondimento, essendo un dialogo articolato con Hegel, per chiarire il marxismo e il suo rapporto con Hegel e più in generale per illuminare, per quanto possibile, il presente in vista di un futuro liberato dall'alienazione, attraverso una dialettica materialistica, aperta e non chiusa, calda e non fredda, come invece si era e si andava configurando con lo stalinismo. Non a caso già nel 53/54 l'opera di Bloch viene tacciata di revisionismo. Questo marchio purtroppo Bloch se lo è portatato addosso per tutta la sua vita intellettuale, e ancora oggi sembra persistere. Ma Bloch resta un grande marxista, che ha lottato per un socialismo concreto/utopico, con una dialettica non solo verso la storia e il suo divenire plurimo al novum ma anche verso la stessa natura, la cui materia non può più essere considerata in senso quantitativo e meccanicistico, ma anche in senso specifico e qualitativo, come conatus. La prima parte è sulle difficoltà del linguaggio e dello stile hegeliano. Nella seconda parte si ha una vera e propria disanima di tutta la filosofia hegeliana. La terza parte, la più avvincente, è tesa a scorgere in Hegel il lato antiquario e compiuto ma anche il suo lato processuale e liberatorio, quest'ultimo utilizzato come pungolo critico non solo contro il capitalismo ma anche verso il socialismo reale, con la sua ridicola pretesa di aver chiuso il circolo e compiuto il regno della libertà, senza rendersi conto che l'uomo e la natura devono ancora nascere alla loro dialettica di liberazione. Ben introdotto da Remo Bodei, con qualche errore qua e là, il libro mantiene la sua attualità, soprattutto per l'attenzione del filosofo nei confronti del marginale, con elogi a Proust e Joyce.
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