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Lo spirito di questo libro si annuncia con il quadro di Edward Hopper in copertina: è l'immagine di una donna che guarda lontano come in attesa di un'annunciazione metafora di una condizione umana dolorosa nel suo isolamento. Ma anche metafora dell'analisi che apre finestre prima chiuse da cui è possibile vedere nuovi spazi interni ed esterni monti lontani nel tempo eppure vicini labirinti di cui parla cantando il poeta Gaetano Veloso. Non meravigli questo richiamo ai versi di un poeta. Questo libro è una poesia di per sé nell'accezione di stato della mente aperta all'esperienza e alla sofferenza e capace di descriverle con le metafore care ai sogni. Sono i sogni di donne incontrate in carcere senza libertà ma che vanno oltre le sbarre a incontrarsi con altri sogni altri desideri altre emozioni di chi è restato fuori dalle sbarre. Sono sogni che restituiscono poco per volta le storie di ognuna permettono di ritrovare parti di sé perdute e sentimenti intensi come la nostalgia il ricordo gli amori il passato. La lontananza l'assenza la separazione sono le costanti emozionali e affettive di questi sogni. Assenza più acuta presenza il verso del poeta Bertolucci scolpisce come un motto doloroso l'inconscio di queste donne dietro le sbarre.
Sentire le loro parole è ascoltare il risuonare dei loro traumi sofferenze errori drammi che assumono nell'incontro di gruppo una musicalità in cui non la parola ha senso ma si concreta l'esperienza della sua dimensione musicale. Una musicalità che richiama le esperienze più antiche delle prime voci udite e che l'autore paragona al morbido volo della civetta indescrivibilmente udibile nella pura profondità della notte cantato da Reiner Maria Rilke. Musica immaginaria che in analisi risuona e che ho ascoltato tra le sbarre muoversi libera che si fa sentire come voce nei primi tempi di vita.
Elena Anna Cecilia Joy nera e bellissima sono le protagoniste di questa avventura onirica di gruppo che si svolge nel carcere. Un'esperienza che fa nascere in Lella Ravasi il dubbio sulla relatività tra bene e male nell'incontro con persone contemporaneamente gravate dal male e dalla colpa e però alla ricerca di elementi etici nelle relazioni all'interno del carcere come istituzione sociale e all'interno di se stesse. E che richiama con insistenza alla mente la massima di Jung: La vita umana è un esperimento di esito incerto.
Certo è sempre molto difficile dare un senso al sogno quando è contestualizzato come nel caso dei sogni di detenute in una situazione estrema e con molte variabili. Lo sforzo dell'autrice ammirevole è stato quello di tentare sempre e comunque una contestualizzazione nella relazione del gruppo cogliendo elementi più significativi sul piano emozionale che emergevano dall'incontro delle detenute/pazienti. Sogni collettivi come manifestazione di un inconscio che ha tessuto una trama di relazioni spesso allargate ai film visti insieme contenitori di ansie e desideri identificazioni e sofferenze amori e privazioni che circolano nelle vene del carcere. Viene da chiedersi: quali similarità o differenze trovava l'autrice nel lavorare con i sogni di detenute e con i sogni di persone libere accolte e contenute nel calore più intimo del suo studio privato? Assonanze tra questi sogni – risponde Lella Ravasi – e altri che vedevo apparire negli incontri analitici nella normalità dell'inconscio senza sbarre nel setting consolidato e protetto del mio studio mi aprivano a nuove forme del sentire a nuove musicalità secondo l'orecchio musicale del transfert modulato sulla memoria implicita nel luogo che viene prima della parola. Incontrare il carcere – insiste l'autrice – apre alle visioni delle schegge dell'umano e nei sogni si fa l'esperienza della frantumazione delle tante esistenze incompiute in noi del riapparire di quanto – espresso o non espresso – ci danna l'esistenza.
La forza di questo libro sta nella realtà umana che vi è presentata nello spessore psicologico delle donne che narrano i loro sogni e possono vivere determinate emozioni nell'occasione offerta loro di poter liberare il proprio inconscio attraverso i sogni e di esprimere tutta la profondità misteriosa del femminile. Particolarmente belli e toccanti sono i passaggi del libro dedicati alla nostalgia i richiami alle parole di Pontalis: Non è il passato che il nostalgico idealizza non è al presente che volta le spalle ma a ciò che muore. La nascita come primo momento di separazione dell'essere umano rimanda al paese natale come metafora della vita al dialetto come linguaggio primario degli affetti all'infanzia come mito lontano e irraggiungibile eppure presente nell'inconscio di ognuna di loro. è il mito della sabbia africana di Joy dell'oceano immenso che separa Cecilia dai figli: Luoghi dove la nostalgia si anima di una rinascita che anche nei sogni è materia viva e aiuta a resistere a durare a cambiare.
è presente nel libro una densa analogia tra sogno e poesia: non tanto per le belle poesie che costellano il testo ma per la stessa radice visionaria la stessa potenza della metafora la stessa capacità di far vivere emozioni. Di fatto sogno e poesia si intrecciano e i simboli diventano materia viva espressione per dirla con Jakobson della proiezione dell'asse paradigmatico inconscio di queste donne dietro le sbarre sull'asse sintagmatico della propria intima narrazione poetica che si libra al di là delle sbarre. Poi viene la separazione e l'esperienza resta nella memoria. Questa conferisce consistenza e identità all'inconscio che il lavoro di gruppo ha modulato direi plasmato legandolo come un ponte metaforico al mondo senza tempo dell'infanzia.
Mauro Mancia
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