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SMITH, PATTI, Mar dei coralli
SMITH, PATTI, Il sogno di Rimbaud
DYLAN, BOB, Tarantola, Mondadori
recensione di Bianco, L., L'Indice 1996, n.11
"Ai miei studenti: / do per scontato che tutti abbiate letto / & capito freud - dostoevskij - san / michele - confucio - coco joe - einstein- / melville - porgy snaker - john zulu - kafka - / sartre - smallfry - & tolstoj - bene allora - / il mio lavoro è questo - semplicemente incominciare da dove loro hanno finito - niente di più - qui avete / tutto in un guscio di noce - ora vi do il mio / libro - mi aspetto che tutti vi ci buttiate a pesce - / l'esame sarà fra due settimane - ciascuno deve portare la propria gomma. / Il vostro professore, Herold il Professore". Herold si trova in buona compagnia, insieme a Gumbo il Vagabondo, Zorba la Bomba, Syd Pericoloso, Ivan lo Zampillo di Sangue... questi sono solo alcuni dei personaggi che compaiono nello stralunato romanzo che Bob Dylan mise insieme tra il 1966 e il 1970. Tanto varrebbe chiedere loro un parere sulla recente candidatura di Dylan al Nobel per la poesia, avanzata da un'università americana e discussa, in un vespaio di polemiche, da numerose grandi firme della letteratura e della musica pop. Il romanzo, infatti, parrebbe dar ragione ai detrattori del cantautore americano, se non fosse che la principale preoccupazione di Dylan era quella di tradurre in letteratura il martellante 'rythm and blues' che governava i suoi versi nella seconda metà degli anni sessanta. "Tarantola", dunque, non ha nulla a che fare con il coraggioso menestrello di "Blowin' in the wind", n‚ con il riflessivo e, talvolta, tedioso messia degli album degli anni settanta; ci restituisce, invece, il Dylan più visionario e scontroso, quello di "Highway 61 revisited". Inutile dire che l'intero "Tarantola" non vale nemmeno un terzo dell'attacco di chitarra e organo di "Like a rolling stone", scritta nello stesso periodo; e tuttavia, il romanzo di Bob Dylan, sospeso tra il 'cut-up' di William Burroughs e certi bizzarri apologhi a metà tra la patafisica e lo Zen, risulta molto divertente alla lettura, soprattutto se si possiede un certo gusto per il nonsense.
Il problema della commistione e del conflitto tra poesia e musica pop si riproporrà, in tutta la sua complessità, qualche anno più tardi: ormai, Dylan e il suo romanzo sono diventati Storia. Nella New York dei primissimi anni settanta, una giovane poetessa legge alcune poesie facendosi accompagnare da un chitarrista: lo show si intitola, significativamente, "Rock 'n' Rimbaud". Soltanto in seguito Patti Smith e Lenny Kaye formeranno il Patti Smith Group, incidendo quattro dischi e, soprattutto, suonando centinaia di concerti, nei quali il curioso e feroce amalgama di cultura pop e ricerca intellettuale di Patti Smith ha modo di affascinare le platee d'America e d'Europa. Leggendo la selezione di poesie pubblicata da Einaudi, balza agli occhi l'eterogeneo pantheon che guidava l'ispirazione della Smith: c'è, certo, l'onnipresente Rimbaud, accompagnato da Jim Morrison e Brian Jones; ma anche, meno prevedibilmente, Pier Paolo Pasolini e Harry Houdini a braccetto con Michelangelo Buonarroti. Per Patti Smith si trattava, in fondo, di restituire alla poesia e alla cosiddetta "cultura alta" quella violenta immediatezza e quella capacità emozionale che soltanto il rock o le più intense esperienze figurative del dopoguerra americano sembravano possedere: "siamo tutti figli di Jackson Pollock. - tutti mutanti caotici - prolungamenti della sua azione. noi usciti roteando dal suo polso svitato".
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