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Anno edizione: 2011
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E' un libro bello e descrive l'angoscia di chi sta per lasciarci e la sua solitudine, ma anche descrive il senso di colpa di chi sopravvive a questo triste evento.
Diversamente da chi concepisce il moderno fenomeno dell'oblio della morte all'interno di un percorso dominato da una teleologia negativa o della crisi, Elias considera gli aspetti storico-sociali che hanno condotto alla progressiva esclusione della violenza fisica dalla vita quotidiana nel momento in cui si è passati agli Stati dinastici. Il superamento della precarietà dell'esistenza avrebbe escluso il pericolo costante della guerra e con essa anche il pensiero della morte, determinando la civilizzazione come forma di pacificazione sociale. Fortemente influenzato dalla pseudoscientificità freudiana sulla questione della rimozione della morte e condizionato dalla sua posizione d'intellettuale borghese, il sociologo ritiene che l'oblio della morte sia dovuto all'avanzare dell'homo clausus, categoria da lui inventata, cioè all'estrema individualizzazione e privatizzazione moderna, trascurando una fetta della società in cui resistono, anzi rinascono, le significative esperienze comunitarie che contribuiscono a fornire un senso all'esistenza dell'individuo. Il cambiamento nella rappresentazione della morte rispetto al medioevo, età maggiormente ossessionata dall'idea della morte, sarebbe dovuto, del resto, anche al progresso della medicina e dell'igiene, circostanze che hanno determinato l'allungamento della speranza di vita e quindi la rimozione della morte. Ad ogni modo, se questa differenza mette in evidenza i progressi dell'età moderna, non spiega assolutamente l'ossessione medievale e il suo pensiero onnipresente della morte per una vita che termina a quarant'anni circa, giacché il soggetto quarantenne, non conoscendo ovviamente gli standard moderni, considererebbe il suo decesso nella media del suo tempo: un mancanza di relatività che davvero non ci si aspetterebbe da un sociologo!
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