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Anno edizione: 2013
Anno edizione: 2016
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Disco simbolo dell'evoluzione musicale dei Depeche Mode, successivo al più "timido" "Construction Time Again", uno dei più importanti degli anni '80, il cui sound ha influenzato gran parte della musica elettronica successiva (il primo che mi viene in mente è "Pretty Hate Machine" dei Nine Inch Nails, ma sono certa ce ne siano altri). E' qui che i nostri assumono le sonorità e i testi oscuri che li caratterizzeranno come "Depeche Mode in quanto tali". In tutto l'album aleggia un senso di claustrofobia, come se ci fosse una nuvola grigia sopra le nostre teste. A livello contenutistico, insomma, non possiamo parlare di un album particolarmente gioioso e spensierato, incentrato sulla noia esistenziale e il desiderio di superarla, la ricerca di qualcosa di sincero - come l'amore, più o meno vero - mentre si è immersi in una società sempre più materialista e intollerante, o il perché della morte di tutte le certezze della nostra vita (che è il sollazzo di un Dio crudele come suggerisce "Blasphemous Rumours"). Tracce degne di nota, oltre alle famosissime "People are People" e "Master and Servant", sono sicuramente l'angosciante e claustrofobica "Something to Do", la rassegnata e a tratti lasciva "Lie to Me" e "If You Want" (Alan Wilder ci sapeva proprio fare, bisogna ammetterlo). Menzione d'onore per "Stories of Old", ingiustamente sottovalutata e a parer mio la più bella. Seconda soltanto alla tragica traccia di chiusura "Blasphemous Rumours". Almeno questa andrebbe ascoltata una volta nella vita. Sebbene ancora lontani dai picchi di "Black Celebration", i Depeche Mode ci hanno consegnato un album più maturo e più che soddisfacente. Non vi pentirete di averlo acquistato.
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