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Anno edizione: 2017
Anno edizione: 2017
Anno edizione: 2018
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Sono arrivato a poco più della metà del libro, eppure sto facendo una gran fatica a proseguire. L'idea, di per sé, non sarebbe male, ossia un'indagine condotta da Cercas stesso sul perché lo zio, durante la guerra civile spagnola si alleò con i nazionalisti di Franco (dall'autore giudicata la parte "sbagliata" della storia). E invece no, questo libro è una sequela di narrazioni storiche sulla Seconda Repubblica e sulla guerra civile spagnola e sulla sofferenza dell'amico - nonché regista e scrittore - David Trueba, ancora costernato per il divorzio dalla moglie: tutto questo mette in secondo piano la figura di Manuel Mena, zio di Cercas, che dovrebbe essere l'oggetto del libro. Se finirò il libro (ho detto SE), sarà per mero senso del dovere.
Tutto si sarebbe potuto esaurire in un dignitoso “racconto”, il capitolo 14 del libro, che contiene l’alfa e l’omega della “vicenda”; invece l’autore, venendo meno ai suoi stessi presupposti di non intenzionalità di scrivere un libro, non solo lo scrive, ma lo pubblica! Tutto il resto del lavoro è una serie infinita di cerchi concentrici di inutili dettagli, di situazioni minimali che si vogliono spacciare come fili conduttori, di marginalità vendute come considerazioni pregnanti, una serialità di scrittura prevedibile dopo poche pagine. Il trucco letterario situazionale del dire “forse che sì”, “forse che no”, oppure “forse sia sì che no”, alla fine risulta molto stucchevole e il lettore si sente sequestrato, più che coinvolto, dall’autore, e arriva alla fine del libro più per educazione che per passione. Un peccato! L’autore avrebbe dovuto custodire solo per sé il frutto delle sue ricerche.
Javier Cercas scrive un romanzo dalle accese tinte autobiografiche. Si tratta, forse, del suo romanzo più difficile da elaborare: è la breve vicenda storica del prozio materno, Manuel Mena, ex militante della Falange che all'età di 19 anni, nel 1938, perse la propria vita in battaglia. Ci troviamo negli anni neri della Spagna, fra il '36 e il '39, e il conflitto è la guerra civile. Cosa spinse Manuel Mena ad arruolarsi in una guerra fratricida? Come stabilire chi sia il nemico e chi l'eroe? Cosa avrebbero dovuto fare le generazioni a seguire, una volta terminato il conflitto? E ancora, che ruolo abbiamo tutti noi all'interno di tematiche tanto lontane quanto vicinissime? Nella sua narrazione, Cercas promuove implicitamente una serie di domande che, giunti al termine dell'opera, non si risolveranno con delle risposte nette ed esplicite. Lo scrittore offre spunti di riflessione, non risposte; può sollevare dubbi, non fornire la chiave per decifrarli. Lettura scorrevole, interessante e molto emozionante. Consigliato su tutti i fronti.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Il sovrano delle ombre è storia della Spagna, storia di una famiglia e di diverse generazioni che si confrontano inevitabilmente con lo stesso passato.
Il ritorno di un grande autore che soffre e appassiona. Un libro impeccabile che doveva essere scritto.
Quindici anni fa con Soldati di Salamina Javier Cercas ci trascinava nel vivo degli ultimi mesi della guerra civile spagnola e mostrava i temi fondamentali della sua narrativa.
Oggi, come in un cerchio che si chiude, l’autore risponde alle questioni sollevate nell’opera precedente.
Il protagonista ambiguo della storia è il prozio dello scrittore estremegno: un giovane che nel ’36 muore sull’Ebro tra le file dei franchisti, inconsapevole di aver dato la vita per una causa ingiusta e sbagliata.
È al tempo stesso un eroe, una vergogna e il simbolo di un tempo che si è provato a eclissare...ma che Cercas vuole doverosamente affrontare, per strappare la verità dal falso.
La voce del narratore passerà attraverso l’enigmatica figura dell’eroe, la complessità di analizzare il proprio trascorso e infine l’impossibilità di dare una ricostruzione storica senza sfumature.
lo fa con la sua prosa emozionante, ironica che catalizza ogni attenzione e regala la consapevolezza di aver letto molto di più di ciò che è scritto.
Recensione di Devide Rosti
A cura del Master Professioni e prodotti dell’editoria - Collegio Universitario "Santa Caterina da Siena” in collaborazione con l’Università di Pavia
[…] Il libro è il tentativo di rendere conto della vita, delle scelte e della morte di Manuel Mena, prozio dell’autore e giovane falangista caduto diciannovenne durante la guerra civile spagnola. Mena è un fantasma nella storia famigliare di Cercas, un eroe per il quale si prova vergogna perché caduto “dalla parte sbagliata”. Ammirazione e rimozione circondano il ricordo di questo giovanissimo sottotenente, le cui motivazioni per gettarsi in quella guerra come volontario sfuggono a Cercas. […] Il buio che avvolge la vita del suo antenato è una ferita aperta nella stessa identità di Cercas. È questo il fulcro intorno al quale ruota il romanzo: con un movimento contrario a quello del romanzo di autofiction, Cercas cerca di illuminare i punti oscuri di se stesso, cercando la “verità” su una storia irrisolta del suo passato famigliare. La ragione della connessione profonda fra quella storia passata e l’identità di chi cerca di raccontarla si disvela gradualmente nel romanzo. Si dipana mentre le ricerche di Cercas circondano di dettagli la figura di Mena […]. A mano a mano che nel romanzo si accumulano i ricordi e le informazioni dei documenti che raccontano frammenti della sua vita di soldato, non si scrive solo la biografia del giovane falangista, ma si chiarisce anche perché la sua vita sia così importante […]. La ragione è che la nostra identità, quello che siamo e cerchiamo di essere non è mai opera di una nostra volontà autonoma che opera nell’isolamento. Ciò diventa chiarissimo alla fine del libro, quando finalmente Cercas conduce la madre nella casa dove Mena visse le ultime ore della sua breve vita. In queste pagine non si illumina il punto oscuro, ma si comprende la materia di cui esso è fatto […]. La responsabilità che possiamo provare per le azioni sbagliate di chi ci ha preceduto non è il frutto di un ragionamento astratto, ma è un sentimento di dissonanza. Il tentativo di farsi carico di questa dissonanza, e il comprendere il passato che la genera, non è un’operazione meramente intellettuale. Se una pacificazione è possibile, lo è solo per mezzo del racconto di chi è stato testimone di quelle storie e dell’esperienza concreta dei luoghi in cui sono accadute. Solo così è possibile una simpatia, comprensiva ma non indulgente, verso chi è stato prima di noi e al quale, nel bene e nel male, dobbiamo ciò che siamo.
Recensione di Simone Pollo.
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