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Considerare "Space is the place" come un normale album di free-jazz è piuttosto riduttivo, infatti si potrebbe definire un episodio di "Star trek" versione jazz, sembra di viaggiare nell'universo acoltandolo; in questo album è presente in tutto il suo splendore la cifra della sofferta metafisica di quel genio che è stato Sun Ra. Si comincia con la title track, un delirio di oltre 21 minuti dove non si capisce bene se si sta viaggiando verso Venere o verso l'Africa, poi si continua con quella che io definisco la chicca per eccellenza dell'album: "Images", è l'unico brano in cui Sun Ra non suona lo space organ ma bensì il pianoforte in una maniera molto elegante e raffinata, ma anche in questo magico e superbo brano fa la sua grandiosa figura con i fiati che si dividono in una dualità armonica-disarmonica creando così un oceano di suoni da cui sembra quasi impossibile uscire, ma ecco che verso la fine ritorna Sun Ra concludendo il brano con dolci arpeggi; si continua con "Discipline", quello che forse è il pezzo più debole del disco, ma pur sempre accettabile e piacevole, una cavalcata di quasi cinque minuti, un brano abbastanza tranquillo se pur si mostri inquieto; si arriva poi a "Sea of sounds", quasi otto minuti di disperato disordine in cui non si capisce da che parte si stia procedendo mentre lo si ascolta; ricorda quasi "Crisis" di Jaco Pastorius. Purtroppo -come è consueto- si arriva al termine del disco (o del viaggio), è stata una bella gita, ma proprio con l'ultimo brano "Rocket number nine" viene voglia di ripartire verso mondi estranei a questa galassia e di nuovo si incontra questa tribù afro-venusiana con voci grottesche. Un album più che valido che vale la pena di essere ascoltato. Yuri Sfratti (09/09/05)
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