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Si parte dai primi gruppi di immigrati ebrei in Palestina (i beluyim sono del 1882, prima della pubblicazione del libro di Herzl sullo stato ebraico) e si arriva all'odierno declino di un esercito tra i più famosi del mondo. Tsahal è stato infatti costretto a convertirsi in forza antiterrorismo. Non fronteggia più eserciti, ma individui mischiati alla popolazione civile in "teatri" urbani. L'Haganà, dal 1920 embrione dell'esercito israeliano, godette di uno statuto di semilegalità già durante gli anni del mandato. Non altrettanto si potrebbe dire degli altri due piccoli gruppi militari a orientamento più nazionalista, come l'Etsel (più noto come Irgun) e il Lechi (la Banda Stern). Nonostante il ruolo svolto nella cacciata dei britannici, queste due organizzazioni erano clandestine e disponevano di capacità limitate se si trattava di condurre apertamente azioni militari, che in alcuni casi risultavano operazioni di vendetta e intimidazione, anche contro la popolazione civile. L'Haganà disponeva di forze di élite, come le Palmach, capaci addirittura di organizzare unità di marina. L'esercito israeliano vide il confluire di questi gruppi nel proprio seno dopo aver sfiorato la guerra civile interna. Fu brillante fino alla guerra del Kippur (1973), che dette inizio alla fase discendente. Seguirono lo scivolamento nel "pantano libanese" (1982) e la sorpresa della prima Intifada (1987). Pur con la riorganizzazione, attuata nel 1998, raramente nella storia un esercito si è reso responsabile di sprechi così ingenti per affrontare un numero esiguo di avversari. La recessione economica ha portato poi Israele a sospendere i corsi di addestramento per i riservisti. E i soldati si trovano spesso a utilizzare fucili d'assalto vecchi di trent'anni. Tutto ciò è raccontato in un libro lucido e appassionato, lontano dai luoghi comuni sull'esercito più potente del Medioriente.
Paolo Di Motoli
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