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Il viaggio che da anni Marco Gervasoni svolge nel vasto universo del socialismo, italiano ed europeo, si snoda lungo un itinerario intellettuale ricco, scandito da numerose tappe. Ultima, in ordine di tempo, è questo volume dedicato al tema della comunicazione e dei linguaggi. Argomento ampio, per sua natura sfuggente, difficile da definire sul piano concettuale e metodologico; tema altresì indagato in tempi recenti da studiosi che hanno diretto la propria attenzione verso le identità, le forme associative, i simboli e, di conseguenza, i linguaggi. È la questione, insomma, della propaganda socialista, che Gervasoni propone da un'angolatura precisa, "quella della politicizzazione delle masse".
L'intera analisi parte da una stimolante osservazione: gli attori sociali agiscono in base a precisi scenari mentali, ai quali si oppongono gli scenari mentali di altri attori; sicché la lotta di classe può venire "storicamente interpretata come lotta tra sfere simboliche", oltre che come lotta tra opposti interessi materiali. È proprio per questo motivo che Gervasoni inizia la narrazione con l'immagine che i proletari milanesi proponevano di sé negli anni ottanta dell'Ottocento: da quel mondo immaginato scaturivano infatti griglie di interpretazione e azioni concrete. Ed era un mondo immaginato come bipartito, diviso "fra il ricco e il povero, l'ozioso e lo sfruttato, l'alto e il basso, i pochi e i molti", in cui la rivoluzione sarebbe stata appunto un rovesciamento dell'ordine, per portare verso l'alto i molti che erano in basso. Eredità preindustriali e cristiane agivano evidenti in una visione che assumeva però subito le tinte della modernità, laddove i redattori del "Fascio operaio" insistevano sull'importanza dell'organizzazione come mezzo di emancipazione. Qui subentrava un fattore al tempo stesso di divergenza e di convergenza con gli intellettuali borghesi. Di divisione, perché, nelle parole di un "Anonimo Lavoratore", "i nostri interessi vogliamo trattarli da soli"; di convergenza, perché erano molti a fine Ottocento i giovani intellettuali borghesi Turati ne è il più illustre esempio delusi dalla "prosa" dello stato liberale e pronti a vedere "poesia" rigeneratrice nel proletariato, dando a se stessi il compito di organizzarlo.
Gettate così le basi concettuali dell'analisi, Gervasoni prosegue la narrazione seguendone il filo. I capitoli si succedono perciò concentrandosi su periodi o precise tematiche: risulta particolarmente interessante il terzo, dove l'autore, con prosa scorrevole e in confronto con esperienze europee, affronta la questione dell'oratoria dei dirigenti socialisti, mettendone in evidenza grazie alle categorie della retorica le tecniche e l'evoluzione. Segue un esame della tensione dialettica tra azione in parlamento e nelle piazze, per approdare, dopo un capitolo sulla Grande guerra, a un'analisi del biennio rosso, dove si dimostra che la biasimata "follia rivoluzionaria" sul piano retorico "si regge su una rinverdita interpretazione di temi che nuovi non sono": il collettivismo e l'etica del lavoro. Ne emerge un ricco quadro corale che riesce a evocare, com'era nelle intenzioni, "i suoni e i rumori" dei comizi e delle manifestazioni.
Paolo Mattera
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