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Nell'introduzione al suo ultimo saggio, Nicola Tranfaglia auspica una reazione all'ormai "lungo dominio populistico di Berlusconi", pari a un macigno sul cammino della democrazia italiana. Proprio al fine di illustrare le radici della perenne impasse politica nazionale, in una narrazione ricca e vivace vengono sviluppati alcuni nodi di particolare importanza, come la questione della defascistizzazione del paese, progettata nel luglio 1944 e arenatasi in seguito alle dimissioni dell'alto commissario Carlo Sforza, che non era riuscito a incriminare Badoglio; le carenze legislative dei primi mesi repubblicani in relazione a partiti e sindacati; l'audace approccio del centrosinistra alle riforme economiche e finanziarie; le vicende legate al Sessantotto e a tangentopoli, due "rivoluzioni" mancate. Lo studioso chiarisce insomma, passo dopo passo, su quali versanti e in quale misura abbia agito la vischiosità della politica italiana, riflesso di un assetto sociale caratterizzato da un ridotto tasso di mobilità (soprattutto ai piani alti). Nei tempi più recenti, al crollo di ogni ipotesi di democrazia dell'alternanza nonostante la Bolognina e il declino dei partiti ha fatto seguito il formarsi di una "democrazia in crisi di identità", cui nocque ulteriormente il governo di centrodestra fra 2001 e 2006, con le leggi ad personam nella giustizia, la promozione di misure per il lavoro che favorirono "un'altissima precarietà" e le iniziative di "ispirazione ultrapresidenzialista"; peraltro, non tutte ineccepibili appaiono le scelte del successivo e breve governo Prodi, che collocò alla Commissione antimafia uomini come Vito e Pomicino.
Daniele Rocca
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