L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Promo attive (1)
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Trentatré poesie in forma di prosa che si susseguono a colpi di ricordi, tic assimilati come segni inestinguibili, abitudini parentali fra un figlio sempre più isolato (possibile alter ego capovolto dell'autrice) e una madre inguaribilmente malata portano "La stanza vuota" nell'olimpo degli esordi poetici più riusciti e criticamente acclamati per costruzione metrica e tematica, per capacità epagogica di rendere ogni minimo verso il risultato finale e universale di un'esperienza unica, vissuta nel dolore di una perdita che riassume tutte le perdite umane e intellettive. Diviso in tre sezioni, "Io e mia madre", "Io e Anna", "Noi", ognuna composta da undici narratologiche poesie, l'opera prima di De Lisi parte e termina con la riesumazione di attimi ed emblemi di vita condivisa, nella solitudine di una stanza (ora diventata vuota), per renderli definitivamente eterni agli occhi di chi per la prima volta si imbatterà in quei precisi versi, in quell'esemplare trascorso fatto di consueti e quasi intimi giochi verbali in cui la voce consumata dal tempo trova nuove e riposte energie per farsi ascoltare da tutti, in quello che forse sarà il suo estremo canto del cigno. E allora scherzose e spontanee espressioni come "Questo mi piace, questo no", "T'infilzo, t'infilzo", "C'è poca carne" diventano il simbolo indiscusso di una morte apparente che esiste solo per sentito dire quando a rimanere intatte saranno le piccole usanze di tutti i giorni, a loro volta infinite, indistruttibili gemme di memoria. Anna è probabilmente la madre, l'io lirico e Anna il noi che chiude questo enigmatico e ripetuto scambio di personaggi in costante simbiosi l'uno con l'altro grazie a un amore incalcolabile. Resterà l'ombra, l'apparenza di una madre che ha dato tutto per il proprio figlio (la propria figlia?), come resteranno questi versi in forma di righe e di lunghissimi fulgori.
Un libro di poesie non convenzionali, poiché connotate da una spiccata struttura narrativa (in fondo, Noemi è innanzitutto un'ottima narratrice). Queste poesie sono la folgorante dimostrazione che, per fare buona poesia, non serve adagiarsi, recependoli passivamente, su stilemi e forme poetiche seguite dai più - ed il fatto che questo lo dimostri una giovane, è veramente tantissimo, in un'epoca in cui soprattutto i giovani, forse per inquietudine, forse per mancanza di originalità, tendono un po' tutti ad imitarsi l'un l'altro. Proprio Noemi mi ha colpita per la novità proposta, per la differenza versificatoria che la distingue da gran parte degli altri giovani. Poemetto in tre atti da leggere tutto d'un fiato. Una ventata d'aria fresca, brava! * Da “LA STANZA VUOTA” (Ladolfi, 2017) di Noemi De Lisi La forchetta d’argento era un vezzo di vecchiaia. L’unico decoro di luce sulla tovaglia di cotone. Due volte al giorno gliela posavo vicino al piatto con lo stupore di un fremito d’invidia: “Ecco”. Lei si specchiava sui quattro denti lunghi e sottili mentre l’ornamento del manico le spariva nel pugno. Quando era in gioia con le rughe di beffa nel viso, faceva il verso di puntarmela contro: “T’infilzo, t’infilzo”. E nel gioco mi avvicinavo, porgendo il petto spoglio a sentire quell’argento pungermi piano lo sterno. L’indomani sulla tavola mancava la sua forchetta: “Com’è possibile averla dimenticata?”, mormoravo mentre facevo per alzarmi, aprire il cassetto, prenderla e invece rimanevo seduto picchiettando nervose le dita. Capovolgevo la mia forchetta d’acciaio sul piatto, sottecchi guardavo il suo posto vuoto: “Adesso, posso”. Felice anche se col viso immoto, aprii lento il cassetto, e mi sembrò strano come se non lo facessi da tempo. Mi rigirai fra le mani la forchetta d’argento, la strinsi. Aveva il metallo opaco e le punte dei denti annerite. Me la misi sul petto: “T’infilzo, t’infilzo”, cominciai, questa volta col desiderio di spingere più forte di lei.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore