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L'uscita di una generosa scelta di scritti e carte di un compositore rappresenta di per sé una gradita sorpresa, in un panorama editoriale che ha offerto negli ultimi anni ai cultori di musica, perlomeno nei circuiti legati alla media e grande distribuzione, rade e discontinue novità. Trattandosi poi di un personaggio come Arnold Schönberg, ancora legato nel senso comune alla ghettizzante quanto ormai anacronistica etichetta di autore "contemporaneo", associato a un malinteso concetto di avanguardia e spesso appiattito sugli episodi meno ardui della sua produzione, l'iniziativa si trasforma in un piccolo evento da salutare con gioia.
È vero, l'Italia non è mai stata tiepida con Schönberg e la sua cerchia: per un felice concorso di circostanze storiche, biografiche e generazionali, l'assimilazione della sua proposta teorica e compositiva è stata da noi piuttosto precoce. Basti pensare soltanto per restare in tema di libri alla traduzione del Manuale di armonia (1963), alle antologie di testi proposte da Rusconi, Einaudi e Feltrinelli negli anni sessanta e settanta, o prima ancora a lavori pionieristici come Espressionismo e dodecafonia di Luigi Rognoni (1954) e Storia della dodecafonia di Roman Vlad (1958). Anche negli anni del riflusso, quando le esperienze legate alla tecnica seriale hanno progressivamente perso consensi, non è mancata la riproposizione di lettere, diari e scritti poetici. Le pagine di maggiore spessore teorico, tuttavia, mancavano da tempo di un'adeguata circolazione, e le prime traduzioni italiane appaiono oggi invecchiate rispetto a un quadro bibliografico e filologico in rapida evoluzione.
Gli sforzi costanti dell'Arnold Schönberg Center, l'avvio di un'edizione critica integrale degli scritti prevista in ventiquattro volumi e la pubblicazione dei carteggi tra i massimi esponenti della Scuola di Vienna e del suo entourage (da allievi diretti come Alban Berg a compagni di strada come Schreker e Zemlinsky, o a fedeli esecutori come Rudolf Kolisch) rendevano pressante l'esigenza di un aggiornamento. L'antologia voluta da Anna Maria Morazzoni, cui dobbiamo già una preziosa raccolta degli scritti di Berg uscita nel 1995, appartiene di diritto a questa nuova stagione di studi, e fornisce al lettore italiano un efficace strumento di lavoro e l'occasione di inattese scoperte. Se in parte ricorrono testi già noti, infatti, molti sono quelli che appaiono per la prima volta nella nostra lingua, e non pochi quelli accessibili ai soli specialisti fino a poco tempo fa. Le nuove traduzioni, inoltre, sono puntualmente riscontrate sui manoscritti, tengono conto della stratificazione degli originali e procedono talvolta da redazioni alternative, come nel caso della grande conferenza su Mahler già presente nel catalogo se. Sotto il profilo della cura scientifica, della ricchezza e dello spessore, si tratta insomma di un'impresa destinata a diventare un nuovo punto di riferimento e ad aggiornare gli standard di lavoro.
Lo spettro dei temi e delle occasioni è così ampio da rendere vano, in una sede come questa, un censimento riassuntivo: gli scritti di argomento musicale e didattico si intrecciano via via a meditazioni sull'epoca e sulla società, oltre che a documenti di carattere intimo come dediche, appunti e un testamento. Inutile sarebbe del resto andare alla ricerca di una facile coerenza di fondo nel senso in cui si parla, spesso a sproposito, dell'"estetica" di un artista. Schönberg non si nega orizzonti speculativi di ampio respiro, quando ne avverte la necessità, ma prova repulsione per la filosofia, e la sua riflessione (come la sua musica) crea da sé le forme più adatte a ciascun contenuto e a ciascuna situazione, senza riallacciarsi a tradizioni di pensiero riconoscibili, o rivestirsi di nozioni accademiche, e senza ambire a una chiusura sistematica. Più corretto sarebbe parlare di motivi ricorrenti, di una serie di nuclei teorici costantemente sviluppati e riproposti nella dispersione. È il caso, per esempio, delle sempre rinnovate riflessioni sulla forma, sulla natura dell'idea musicale, sul comporre come costruzione e articolazione di nessi comprensibili, un interesse che ha lasciato un'impronta indelebile sulla poetica e sulla prassi degli allievi diretti e indiretti, e che sarebbe dovuto sfociare in un trattato che rimase allo stato di frammenti (finalmente disponibili anche in italiano).
Schönberg resta fino in fondo un orgoglioso autodidatta, un professionista del "dilettantismo", insiste a fabbricare da sé le proprie idee come amava fabbricare mobili e piccole invenzioni ingegnose. Ama agire piuttosto che indugiare con la penna in mano, eppure avverte la costante esigenza di esprimere la propria opinione su tutto e su tutti. È un pensatore selvatico, curiosamente vicino al Leonardo prosatore. Più che un ipotetico continuum di teoria, insomma, cioè che si ricava dall'immersione in questi materiali diversissimi per taglio e misura è soprattutto il ritratto di un uomo appassionato, brusco e battagliero, a tratti caustico, in una scrittura ora impacciata, ora capace di immagini felici, ma sempre disperatamente generoso (come nelle pagine sulla questione ebraica) e animato da un'energia interiore che non venne mai meno, e che una vita sulla prima linea dell'arte e della storia non bastò a consumare. Francesco Peri
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