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Come accade alle opere troppo famose per essere davvero lette con attenzione, anche sulla Storia d'Italia di Croce circola una leggenda infondata. Secondo tale vulgata si tratterebbe di un libro celebrativo, tendente a dare un quadro irenistico dell'età liberale. Il fondo non mitico di questa idea è che il libro fu preparato e scritto tra il 1926 e il 1927 proprio per rivalutare l'età liberale in un momento nel quale il fascismo additava al disprezzo pubblico l'Italietta postrisorgimentale, bollandola come un piccolo mondo provinciale, privo di ideali, non interessato a quella politica di potenza necessaria per accrescere il prestigio nazionale. Pure, se questa motivazione portò Croce a dare un giudizio ampiamente positivo sull'insieme di quel periodo, nel dettaglio dei singoli momenti l'analisi non assume mai toni apologetici, ma delinea chiaramente i limiti e le insufficienze che caratterizzavano la vita del giovane stato. D'altronde, se il libro fu scritto sulla spinta di una particolare congiuntura politica esso non era il frutto di un progetto estemporaneo. Già prima della Grande guerra, infatti, Croce aveva in mente un lavoro sulla storia italiana. Tale ricostruzione avrebbe dovuto essere sobria e antiretorica perché, come era detto in uno scritto del 1916, si trattava di una storia "non antica e secolare ma recente, non strepitosa ma modesta, non radiosa ma stentata". E a questo criterio, informato al buon senso e alla ragionevolezza, il filosofo napoletano si attenne pur valorizzando l'operosità e i meriti della classe dirigente unitaria. Come gli altri volumi dell'edizione nazionale delle opere crociane, anche questo ha un impeccabile apparato di varianti e un preziosissimo indice dei riferimenti, rinvii e citazioni. La nota critica di Giuseppe Talamo ricostruisce con precisione la genesi dell'opera e le sue coordinate storiografiche.
Maurizio Griffo
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