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Molto bello, da leggere anche piu' volte. Sono rimasto molto soddisfatto, la storia e' raccontata anche in maniera scorrevole e appassionante. Peccato forse le immagini in bianco e nero. Consigliatissimo.
Recensioni
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scheda di Perosino, M., L'Indice 1992, n. 3
Quando una prima versione di questo libro apparve in Italia, nel 1949, la accompagnava una lunga introduzione di Roberto Longhi che, sulla falsariga dell'impostazione stessa del volume, costruiva una sorta di cronistoria in cui inventariava, con neutralità solo apparente, fatti francesi e italiani coevi. Proseguiva quindi con una rapida quanto sagace rassegna della storiografia critica italiana e di quelle che con sempre maggiore evidenza si presentavano come letture faziose, incapaci di fare i conti con le piccinerie del nostro Ottocento e di riconoscere l'importanza, estetica e culturale, delle novità d'oltralpe. La severità di quel giudizio sanciva un atteggiamento diffuso, teso a privilegiare l'impressionismo sia per la sua immediata godibilità, sia per le valenze di rottura nei confronti della tradizione, e di anticipo rispetto alle avanguardie, che gli venivano attribuite. Atteggiamento che in Italia aveva trovato una sorta di sanzione ufficiale nell'organizzazione della mostra sull'impressionismo alla Biennale del 1948, ordinata dallo stesso Longhi, e nel crescente potere che Lionello Venturi, esegeta ufficiale del movimento, esercitava sulle scelte collezionistiche pubbliche e private. Le cose erano certo diverse in area anglosassone, dove i nazionalismi non avevano troppo ingombrato il dibattito storiografico. Tuttavia l'orizzonte, e la scala di preferenze estetiche, entro cui si muoveva lo stesso Rewald, non erano molto diversi. Il suo atteggiamento va però ben al di là di un apprezzamento soggettivo. Quella che propone è infatti una lettura estremamente articolata, capace di coniugare la dettagliata ricostruzione dei fatti con una conoscenza a largo raggio delle opere. Un intreccio fittissimo di situazioni, persone, occasioni, quadri il cui risultato è una straordinaria cronaca dall'interno dell'impressionismo.
Da allora le cose sono cambiate. Da una parte si è cercato di contestualizzare le ricerche impressioniste, dall'altra ci si è impegnati su artisti o problemi specifici, affrontati per lo più attraverso mostre e relativi cataloghi: dalle grandi esposizioni monografiche parigine a quelle su aspetti molto specifici come la recente "L'impressionismo nella scultura" (Lugano, 1989) o quella sui rapporti "Monet-Rodin" (Parigi, 1989-90). Più rare sono state le letture trasversali, a tema, come quella operata in occasione della mostra "L'impressionisme et le paysage francais" (Los Angeles, Chicago, Parigi, 1984-85). Qui, utilizzando chiavi di lettura di grande suggestione si è cercato, con esiti convincenti, di ripensare ad alcuni assunti molto radicati, primo fra tutti quello che i quadri impressionisti siano, 'tout court', la registrazione di una sensazione momentanea. In questo panorama contraddittorio, segnato inoltre da un sottile ma crescente fastidio per immagini troppo spesso e troppo mal riprodotte, il libro di Rewald resta non solo uno strumento indispensabile e per certi aspetti insuperato, ma conserva anche tutto il fascino di una scrittura capace ancora di muoversi con agio nella complessità, fuori da ogni imperativo metodologico o intento programmatico, e di confrontarsi senza inibizioni e ammiccamenti con il fenomeno impressionista.
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