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recensione di Serani, U., L'Indice 1997, n. 9
Nell'aprile dell'anno 2000, e dunque tra poco più di due anni, l'Europa festeggerà i 500 anni dalla scoperta del Brasile. E il Brasile festeggerà la sua nascita alla letteratura, per usare la felice espressione che apre la "Storia della letteratura brasiliana" di Luciana Stegagno Picchio, studiosa che da quarant'anni si occupa ininterrottamente di Brasile, da quando si accingeva a tradurre il romanzo "Fuoco spento" di José Lins do Rego, autore cui singolarmente si riaccosterà solo per prefare "Il treno di Recife", tradotto dal suo più famoso discepolo: Antonio Tabucchi.
In questo lasso di tempo che ha visto scorrere gli anni della ricostruzione, della guerra fredda, del disgelo, della caduta del muro di Berlino, per cui nulla è più uguale a prima, l'autrice non ha mai abbandonato il Brasile delle lettere, così lontano da quello di lustrini e "paillettes" del carnevale, da Carmen Miranda o da quello brutalmente legato alla droga delle favelas, ma allo stesso tempo fedele specchio di un paese che è uno e cento.E alla scoperta di questa sconfinata repubblica federale, ma prima ancora colonia e poi, pomposamente, Impero, si viene condotti con leggerezza attraverso le pagine di questa storia letteraria, diretta erede di "La letteratura brasiliana" scritta dalla stessa Luciana Stegagno Picchio e uscita oltre un quarto di secolo fa (1972) per i tipi della Sansoni-Accademia.
Erede perché ne rispetta l'impianto per quanto concerne i primi tre secoli di rassegna letteraria, ma nuova nelle bibliografie, nell'approccio agli autori.La distanza "giubilare" permette di osservare gli autori e le opere alla luce di una critica che, nel frattempo, ha compiuto scoperte, rivisitazioni, attribuzioni e sottrazioni, che in conclusione ha rinnovato il suo giudizio.
Questa rivoluzione nell'accostarsi alla materia si manifesta subito, fin dall'epigrafe del primo capitolo. Nel 1972 si leggeva solo il verso tratto dai "Lusiadi" di Cam>es, quasi a saldare il ponte tra Portogallo (ancora pre-rivoluzione dei garofani) e Brasile (ancora lontano da una democrazia sostanziale e non solo formale): "Di Santa Cruz il nome gli darete".Oggi accanto al vate portoghese, Cam>es, troviamo il vate dell'antropofagismo brasiliano, Oswald de Andrade: "Quando il portoghese arrivò / sotto una forte pioggia / vest" l'indio./ Che peccato! / Fosse stato un giorno di sole / l'indio avrebbe spogliato / il portoghese".Da subito si afferma che il Brasile ha acquisito, anche per un pubblico europeo, piena autonomia e spessore dalla progenitrice terra portoghese. La sua letteratura, grazie anche ad autori diversissimi come Jorge Amado o Carlos Drummond de Andrade, è riconosciuta in tutto il mondo come brasiliana. Tanto brasiliana da assistere a un singolarissimo fenomeno di appropriazione linguistica, per cui oggi si sente parlare di lingua brasiliana, mentre lo stesso non accade con le letterature dei paesi sudamericani di lingua castigliana.
Accanto a questa rivoluzione copernicana nell'affrontare il pianeta Brasile, questa "Storia della letteratura brasiliana" offre aggiornamenti che riguardano, per esempio, l'opera e la vita di un poeta barocco come Greg_rio de Matos, o di un predicatore come fra Manuel Calado, che testimoniano anche la diversa attenzione che oggi si rivolge ai poeti e agli oratori del Seicento brasiliano.
Sarà, ovviamente, andando avanti nella lettura che si troveranno le sorprese più piacevoli e interessanti, come quel sedicesimo capitolo che passa in rassegna gli ultimi trent'anni di letteratura del Brasile.Scopriamo così la vivacità poetica di un paese che ha fatto, negli anni cinquanta e sessanta, dell'espressione in versi, prima ancora che del racconto e del romanzo, la sua via alla letteratura. Come se l'opera di Guimar
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