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recensioni di Bongiovanni, B. L'Indice del 2000, n. 03
Negli anni dei miracoli economici il dibattito sulle cause e gli effetti della rivoluzione industriale è stato al centro delle riflessioni storiografiche. Il cuore del problema non era solo lo sviluppo, ma anche il sottosviluppo. Era la stessa espressione "rivoluzione industriale", del resto, che rimetteva continuamente tutto in questione. Il sostantivo "rivoluzione" dava infatti l'impressione di un mutamento improvviso svoltosi nel tempo breve o medio. Velocizzava la marcia secolare dell'industria. L'aggettivo "industriale" trascinava invece la rivoluzione nel tempo lungo, la emancipava dall'esclusività dell'ambito politico e sociale, rallentava gli spasimi ravvicinati del mutamento e della transizione al mondo contemporaneo. Tanto che si poteva sospettare - Marx l'aveva già sospettato - che la rivoluzione industriale fosse l'unica, irresistibile, irreversibile rivoluzione degli ultimi secoli. Qualche storico, abbagliato dalla rivoluzione industriale, ha poi preso un abbaglio, e ha insinuato che le rivoluzioni politiche (dall'89 in poi) siano state tutte maldestri tentativi antimoderni di controrivoluzione anti-industriale.
Fu anche pubblicato, in quegli anni, Rivoluzione industriale e sottosviluppo (1963; Einaudi, 1967) di Paul Bairoch, un testo di raro equilibrio. Il nucleo dell'argomentazione ruotava intorno al concetto di démarrage e quindi alla questione del decollo. La rivoluzione industriale, inoltre, si portava dietro, come una maledizione, e come la sua cattiva coscienza, lo sviluppo bloccato, cui viene intitolato il successivo libro di Bairoch (1971; Einaudi, 1976), dedicato all'economia del "Terzo mondo" nel XIX e nel XX secolo. Esce ora, purtroppo postuma, l'ultima e imponente fatica di Bairoch (1930-1999), frutto di un corso venticinquennale tenuto a più generazioni di studenti dell'Università di Ginevra. È impossibile renderne conto analiticamente. Il lettore vi troverà tuttavia la storia di quel contraddittorio processo multisecolare che è stato (ed è) la globalizzazione. Vedrà soprattutto tornare, senza l'ottimismo degli anni sessanta, il gran tema, rimosso negli ultimi lustri, della rivoluzione industriale. Vedrà infine che siamo sempre lì. Che le vittorie portano con sé gli insuccessi. Che il mondo sviluppato non è mai stato omogeneo. La stessa cosa si deve dire per il mondo cosiddetto "comunista" e per il "Terzo mondo". Notevoli sono state le disparità di crescita tra i paesi di questi tre gruppi. E ancor più rilevanti le disparità tra gli individui, maggiori nei paesi dell'odierno Terzo mondo che nel mondo sviluppato al momento del suo decollo. Fino al 1600, del resto, il livello di vita del futuro Terzo mondo e quello del futuro mondo sviluppato non sono stati lontani. Nel 1860 il divario è diventato di 1 a 2. Nel 1950 di 1 a 5,1. Nel 1980, nonostante il rallentamento occidentale e la crescita degli asiatici, di 1 a 7,4. Nel 1990 di 1 a 8. Lo sviluppo economico cinese l'ha fatto decrescere, ma di pochissimo, nell'ultimo decennio. Il mondo sviluppato ha infine visto raddoppiare il reddito medio dei suoi abitanti tra il 1960 e il 1995. Una grande vittoria. Che rende ancora più vistosi gli insuccessi.
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