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Se si fosse posto l'obiettivo di rivelare la parabola dell'ennesimo manipolo di "traditori del movimento operaio", Brunello avrebbe corso il serio rischio di scivolare nel voyeurismo di quanti, nei documenti d'archivio, cercano affannosamente lo scoop, quasi che in ciò si sostanzi il mestiere dello storico. Le vicende narrate in questo libro si svolgono negli anni in cui lo stato unitario traccia le prime linee di un articolato sistema di sorveglianza contro le "forze della rivoluzione". Ed è proprio verso tale sistema, nel periodo precedente l'introduzione crispina del casellario politico centrale, che Brunello dirige la sua analisi. La storia ruota intorno a una riunione di anarchici che si tiene ad Abano, fuori Padova, nel febbraio 1881. L'incontro non è di quelli destinati a confluire nei manuali di storia, tuttavia prende una piega singolare quando all'appuntamento si presenta anche la polizia. Fra i nove giovani messi agli arresti, due sono delatori della questura. Muovendo da qui, Brunello porta a compimento il suo progetto storico-letterario che si dispiega nella cronaca di episodi, nella definizione di caratteri e inclinazioni, nella ricostruzione di intrecci da noir. Dove le fonti non arrivano a spiegare, si avanzano ipotesi, in qualche caso condivisibili, in qualche altro meno solide, che lo stesso autore discute negli intermezzi che fanno da cuscinetto fra i vari capitoli e nei quali risponde ai quesiti di una immaginaria lettrice.
Il racconto, pregevole per il tono leggero e le colte interferenze che lo vivacizzano, si dipana fra l'Emilia, il Piemonte, il Veneto e la Svizzera, i luoghi dove i protagonisti vivono e agiscono. Figuri di comprovata doppiezza come Rodolfo Boenco, Oreste Vaccari, Giuseppe Auburno e Carlo Terzaghi; informatori involontari, traditi dall'ingenuità, come Carlo Monticelli; poliziotti abili come l'ispettore Alfonso Raimondi: di tutti incuriosiscono i profili biografici, ma ancora di più interessano le procedure che definiscono i rapporti fra delatori e forze dell'ordine. Rapporti regolati talvolta da una paga fissa mensile, addirittura con la possibilità per la spia di rivendicare aumenti salariali in proporzione al crescente costo della vita; talaltra, da un compenso a cottimo, corrisposto in base all'importanza della soffiata. Questure e prefetture si preoccupano di selezionare le notizie e di archiviarle, per servirsene alla prima occasione. Un lavoro imponente, nel quale spicca la prassi di tratteggiare l'identikit del sorvegliato, prassi che l'introduzione delle foto segnaletiche alla fine del secolo non farà venire meno. Nei primi due decenni postunitari si gettano dunque le fondamenta di quell'opera d'ingegneria investigativa che si perfezionerà nel Novecento, in particolare con il fascismo. Il sistema di sorveglianza, testato su anarchici e socialisti, è qui agli albori e nel suo complesso funziona, sebbene lamenti difetti che in seguito saranno solo in parte corretti, come la tendenza a denunciare complotti inesistenti o la propensione a cadere in sviste: esemplare il lapsus dello scrivano della questura veneziana che nel 1875, mal ricopiando un rapporto inviato da Raimondi, trasforma la diciassettenne sorella dell'internazionalista Emilio Castellani, di mestiere "cucitrice", in una "meretrice".
Roberto Giulianelli
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