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Nelle città italiane del Rinascimento una elevata percentuale della popolazione era costituita da ragazze e ragazzi di età inferiore a quindici anni. Per i minori era frequente rimanere orfani per la morte di un genitore o venire abbandonati a causa delle condizioni di estremo disagio o povertà in cui versavano tante famiglie. In società in cui coloro che governavano amavano presentarsi come “padri”, la presenza di un gran numero di minori senza casa costituiva una sfida e un’opportunità.
A Bologna e a Firenze autorità civiche e istituzioni private sperimentarono la costituzione di orfanotrofi per accogliere un numero crescente di ragazzi abbandonati. L’Autore esamina la costituzione e la gestione di questi istituti, le procedure di ammissione di ragazzi e ragazze, la vita quotidiana all’interno delle case, l’educazione impartita e le procedure di uscita al termine della permanenza. L’Autore analizza inoltre il ruolo di indirizzo e controllo svolto dalle autorità cittadine e ci spiega perché gli orfanotrofi di Bologna e Firenze finirono per operare secondo modalità assai differenti. L’Autore sostiene che le case bolognesi erano meglio gestite, avevano più cura dei loro assistiti e riuscivano con più efficacia a reinserirli nella società. Le case fiorentine erano più grandi, le condizioni di vita interne erano peggiori e minore era lo sforzo degli amministratori di reintegrare gli assistiti nella vita cittadina.
Magnificamente documentata e ricca di spunti biografici, la ricerca rivela come genere e condizione sociale condizionassero il funzionamento dei singoli istituti nell’ambito delle distinte reti cittadine e mostra come fattori politici, scelte assistenziali e dinamiche economiche abbiano condizionato la formazione dello Stato nella prima età moderna.
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