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Intervenuto a reinterpretare il lavoro di un ricercatore sulla devianza giovanile in un quartiere di Leicester, Elias ne cava spunti di grande interesse per illustrare processi storico-sociali di ampia portata. Le notevoli acquisizioni metodologiche vengono rivisitate dieci anni dopo con un saggio teorico che fa ora da introduzione al volume. Ma decisive sono anche le acquisizioni specifiche, che gettano luce su processi di esclusione sociale diffusi. A Winston Parva, la dialettica tra “radicati” ed “esterni” non era tra nobili feudali e villani, bianchi e neri, gentili ed ebrei, ma tra operai di più antico e di più recente insediamento, esclusi dai primi grazie a una serie di comportamenti, strutturati in una efficace strategia. La “vecchiaia” delle famiglie di radicati era fatta valere come titolo di prestigio, e la coesione, favorita da un continuo pettegolezzo, rafforzava l’autostima del gruppo e ribadiva l’inferiorità degli “esterni”. Sintomatici gli elementi ricorrenti nel pettegolezzo, che riguardano le differenze rispetto al codice di comportamento, faticosamente acquisito da parte dei “vecchi” insediati: episodi di ebbrezza, schiamazzi, litigiosità fra le mura domestiche, mancanza di condotte autorepressive degli adolescenti. Nella relazione tra radicati ed esterni, Elias rinviene differenziali di potere, che aiutano a comprendere discriminazioni lette in chiave ascrittiva, perciò di tipo razzista, anche se colpiscono chi fa lo stesso lavoro, parla la medesima lingua, ha lo stesso colore della pelle, gode dei medesimi diritti civili. La stigmatizzazione del gruppo di nuovi arrivati – estranei rispetto ai vecchi residenti ma anche tra di loro, e perciò meno in grado di costruire collettivamente una buona immagine di sé - viene da questi ultimi introiettata, tanto da farli apparire ai loro stessi occhi come inferiori, alimentando gli episodi di devianza e marginalità giovanile e legittimando in tal modo il già esistente gap di potere.
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