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Il bel libro di Grado Giovanni Merlo accosta alla mentalità di un villaggio quattrocentesco anche il lettore non specialista, calandolo all'interno della vicenda un processo per stregoneria giorno dopo giorno, attraverso un'attenta analisi della documentazione. Il processo ha inizio nell'ottobre del 1495 a Rifreddo, piccola località all'inizio della valle del Po, vicino a Saluzzo (capitale dell'omonimo marchesato) dove alcune donne del luogo sono accusate di essere masche, cioè streghe. L'autore delinea in modo efficace l'orizzonte mentale e psicologico dei diversi protagonisti e delle persone che li circondano, offrendo un quadro ben definito del progressivo intrecciarsi dei vari poteri istituzionali presenti sul territorio: l'inquisitore, il consigliere marchionale, l'ordinario diocesano, la badessa del monastero di Santa Maria della Stella, titolare della signoria locale. Un furto di erbe nell'orto del monastero e la morte improvvisa e violenta di una giovane diciottenne (probabilmente un omicidio preterintenzionale) sono i fatti di cronaca alla base dell'attivazione delle procedure processuali che sconvolgono la vita dell'intera comunità. Nella storia delle masche di Rifreddo raccontata, o forse sarebbe più corretto dire creata dalla cultura religiosa, teologica e giuridica dell'inquisitore Vito dei Beggiani si ritrovano tutti gli stereotipi stregoneschi tipici di questo periodo: il "volo" verso i luoghi di riunione, le danze collettive, i rapporti sessuali con i demoni, l'antropofagia, lo spregio della croce. Quello di Rifreddo è un processo come molti altri nel passaggio dal medioevo all'età moderna: d'altra parte lo registra il notaio in una nota a margine degli atti processuali tutti, anche i "fanciulli", sanno che le masche e i demoni esistono e credono nella loro esistenza. I processi inquisitoriali come quello di Rifreddo materializzano nella parola scritta l'immaginario demoniaco e stregonesco collettivo, un immaginario trasformato in una realtà di fatto pochi anni prima del processo, nel 1484, quando Innocenzo VIII, con il Summis desiderantes affectibus, equiparò la realtà stregonesca all'eresia.
Barbara Garofani
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