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Anno edizione: 1993
Anno edizione: 2015
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Un titolo che è già un invito a entrare in un altro universo, con un personaggio, Maqroll, che ritorna anche negli splendidi romanzi di Alvaro Mutis e costituisce una sorta di evoluzione lirica, e sudamericana, del leggendario Ismael melvilliano. Sono poesie liriche, in cui Maqroll cerca di evocare un mondo attraverso i suoi componimenti: e ci riesce, trasmettendo un senso di leggera malinconia che sta alla base di ogni grande poesia.
..ho letto quasi tutte le opere di alvaro mutis: le avventure di maqroll son scritte in un modo semplice, ma accattivante, però in nessun libro mutis si spinge tanto in là, sino a rendere le parole alchimia, come in questa summa..è l'unica sua opera poetica, ma che liricità..va veramente in alto..questo libro è davvero imperdibile..
Livello eccelso di poesia..Anche se scritta a volte in modo non troppo semplice ti resta dentro qualcosa di magico per cui prima o poi riapri questa stupenda raccolta
Recensioni
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recensione di Puccini, D., L'Indice 1994, n. 1
Dopo averlo letto e quindi conosciuto come narratore di romanzi e racconti avventurosi quali "La neve dell'ammiraglio" (Einaudi) e "L'ultimo viaggio del Tramp Steamer" (Adelphi), che qui abbiamo recensito - e richiamavo tra gli altri il nome di Conrad - risulta un po' strano entrare d'improvviso nel mondo poetico di Mutis, che dell'altro, quello narrativo, sembrerebbe a tutta prima tributario, almeno dal punto di vista descrittivo e a suo modo fantastico (si pensi alla locomotiva rosa della poesia "Viaggio" che suona come un violino mentre passa in mezzo a un folto di eucalipti).
Ma si tratta di un'impressione errata: sia perché le poesie in realtà precedono i romanzi (fino a sessantatré anni Mutis, che oggi ne ha settanta, ha scritto in prevalenza poesie e prose poetiche o scopertamente autobiografiche), sia perché sono proprio i romanzi che in qualche modo diffondono in maniera diversa, forse anche più vistosa, il modo di vedere e di pensare di Maqroll il Gabbiere: un modo di vedere e di pensare quale è condensato o meglio coagulato in questa mirabile ed esuberante "Summa" poetica. E ho detto "modo di vedere", dato che - come scrive benissimo il curatore, pure lui colombiano e conoscitore a menadito di Mutis e delle sue virtù, - specialmente alla pittura (Munch più di Vel zquez, e Bacon più dello stesso Goya, per seguire le indicazioni di Rodr¡guez Amaya) pare attingere moltissimo il nostro scrittore e poeta; sicché, nel verso o nel poema in prosa, e nella sua grande dovizia verbale, pare che in lui prenda quasi il sopravvento la tendenza al paesaggio naturale e umano, reso ora con puntigliosità divisionista, ora, al contrario, a grandi macchie e campiture deformanti. A Mutis inoltre non occorre essere poeta torrenziale per far affiorare la propria matrice tropicale o, se si vuole, latinoamericana: basta e avanza l'insistenza e l'urgenza dei suoi fantasmi e delle sue visioni.
Queste caratteristiche speciali sono tanto più evidenti e persino più significative (per capire il tipo di scrittore che è Mutis) in quanto il libro di poesie e il suo titolo non solo si riferiscono al mondo e al personaggio (futuri) delle sue stesse narrazioni, cioè a Maqroll il Gabbiere, ma anche perché ne anticipano le pene e le delusioni nella più diretta e talora più tumultuosa forma poetica. Pertanto, in molti casi, ci troviamo al cospetto di poesie o poemi in prosa con un forte carattere descrittivo: che ripete lo stesso paesaggio reale o nascostamente immaginario (un po' inventato e un po' esibito e millantato) dei suoi romanzi. Ma più spesso è la nota lirica che prevale senza mezzi termini.
"Ricco senza ostentazione e senza spreco", ha scritto di Mutis poeta il messicano Octavio Paz. Entro questa linea di rigore ma di non risparmio, le due tendenze sopra rilevate (descrittivismo e poesia di meditazione e di disperazione) si succedono con una certa regolarità: alla prima appartengono le raccolte, qui antologizzate, "Prime poesie" (1947-52), "Gli elementi del disastro" (1953), e "Rassegna degli Ospedali d'oltremare" (1959) - e in quest'ultimo libro predomina la vena deformante e amara colta nel "vero' triste di un mondo di sofferenze e di miseria - e torna poi in libri più recenti come "Caravnserraglio" (1981) e "Gli emissari" (1984); mentre alla seconda tendenza sono da ricondurre soprattutto le poesie della raccolta "I lavori perduti" (la cui poetica è curiosamente tutta anticipata in una poesia dallo stesso titolo presente nel secondo libro qui ricordato: "Poesia: moneta inutile che paga i peccati altrui con le false intenzioni di offrire agli uomini la speranza").
Ma guardiamo più da vicino le due tendenze qui evocate. Stralcio un esempio della prima. "... E tale dono mi è stato offerto in questa strada come tante altre, con i suoi negozi per turisti, la gelateria, i bar, i suoi portali istoriati, // in questa strada di Cordova, dove il miracolo avviene, cosi, all'improvviso, come una cosa quotidiana, // come un baratto dell'imprevisto che io pago festoso con le ore più nere di paura e di menzogna". Anche se in tutta la poesia, dal titolo "Una strada di Cordova", i dati referenziali e paesaggistici sono dichiarati, non vi appare neppure estranea una nota delusa e dolorosamente riflessiva forse perché il componimento è tra quelli più recenti. Invece, fatto assai curioso, nei poemi in prosa più lontani nel tempo è possibile intravvedere tratti e modi che vorrei chiamare prenarrativi, vicini quindi alla prosa apertamente affabulatoria dei romanzi. Un personaggio che pare tolto di peso dai romanzi, e che invece li anticipa, è, tra l'altro, l'infermiere fantasioso che incontriamo alla fine del poema in prosa "L'Ospedale della baia": quello che dà alle malattie dei suoi pazienti nomi di donna...
All'altra tendenza, più perentoria e scandita, liricamente più perentoria e scandita, sono da ricondurre alcune poesie stupende, come "Notturno", "Città" ed "Esilio", forse la più intensa e indicativa dell'intera antologia. "Ed è allora che soppeso il mio esilio / e misuro la solitudine irrecuperabile di ciò che ho perduto / per ciò che d'anticipata morte mi corrisponde / in ogni ora, in ogni giorno d'assenza / che riempio con impegni ed esseri / la cui condizione a me aliena mi spinge / verso la calce definitiva / di un sogno che roderà le proprie vesti, / fatte d'una corteccia di materie / proscritte dagli anni e dall'oblio".
Tra le composizioni delle "Poesie disperse" (1947-88), che chiudono l'antologia così amorosamente curata e che recuperano senza dubbio poesie più antiche, ve n'è una con questa dedica:
"Omaggio minimo a Stéphane Mallarmé", e s'intitola "Come spade in disordine", titolo tratto dal primo verso. La poesia merita una certa attenzione, perché è tutta costruita su un gioco di luci e di ombre rapportato stranamente a oggetti guerreschi o quasi (spade, truppe, combattimenti, ecc.) e perché vi è un riferimento a enti che "lanciano, dall'alto, muti dadi" e si chiude con due versi emblematici (anch'essi, è chiaro, ispirati a Mallarmé): "Solo gli dèi sanno che questa virtù incerta / è un altro vano tentativo di abolire il caso". Oltre ad aver preferito tornare con più chiarezza ai versi ispiratori, mi sembra che la virtù a cui Mutis allude ("la conformidad") non possa essere che l'ordine superiore o metafisico. Sembrano versi che avrebbe potuto scrivere Borges.
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