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Partito con ottime premesse, il racconto si è via via perso tra svariati argomenti, interessanti e interconnessi ma lasciati in forma didascalica e asettica. Notevole, per me, è la qualità descrittiva del filo conduttore del libro – l’arte culinaria ayurvedica - che attraversa tutti i suddetti contenuti; salvo poi cedere a una stucchevole ripetitività. Rimane che la materia culinaria, per una volta, viene liberata dai toni ansiogeni e urlati dei programmi tv e, allo stesso tempo, da quelli leziosi dei libri a doppia combinazione: fornelli-amore. Attraverso l’ayurveda e le sue proprietà curative ed evocative Suter ci offre un’idea di cucina legata al silenzio. Un sesto senso che apre e lega insieme gli altri cinque. I piatti del protagonista (tamil singalese in fuga dalla guerra e riparato in Svizzera) nascono da una condizione di raccoglimento creativo che dialoga con la sua identità, la sua storia personale, la cultura dei suoi luoghi di appartenenza dove affondano le radici della vasta tradizione ayurvedica. Sono pagine di puro fascino, assimilabili a una danza spontanea che costruisce la sua coreografia rispondendo a sollecitazioni cromatiche, olfattive e tattili. Il cibo è un linguaggio capace di veicolare emozioni. Con le sue creazioni, la combinazione di spezie, Maravan, personaggio dai contorni assai riusciti, ci parla del suo mondo e della sua nostalgia che non trova soluzione in un Paese dove tutto gli appare distante dai suoi principi e i suoi valori, da qualunque suo riferimento. La questione della fatica dell’integrazione è il tema che si avverte più di tutti, e mi sarebbe piaciuto vederlo sviluppato, ma rimane confuso e sbiadito tra quello del traffico di armi, della corruzione, della crisi economica globale, sfruttamento della prostituzione, dei matrimoni forzati.
Ingredienti: un umile cuoco tamil emigrato in Svizzera, un progetto di riscatto nella cucina afrodisiaca, un microcosmo di difficoltà economiche, amori contrastati e precetti religiosi, un macrocosmo di crisi economica, traffici di armi e guerre civili. Consigliato: a chi non conosce il potere e le magie dell’evaporatore rotante, a chi sa trasformare cibi e persone in emozioni.
Un libro deludente questo di Suter, rispetto ad altri più intensi e avvincenti quali “Com'è piccolo il mondo!” o “L'ultimo dei Weynfeldt”. L’autore cerca di unire - attraverso vari personaggi - più temi differenti e l’operazione non pare riuscita troppo bene. C’è il problema dell’immigrazione e dell’integrazione tra culture molto diverse, le triangolazioni illegali per vendere armamenti a comunità in guerra tra loro, le guerre dimenticate dove comunque l’occidente ha un ruolo. Il tutto condotto da una trama sottile e incerta, interrotta continuamente dalle prolisse e noiose descrizioni di ricette di cucina Tamil rivisitate con procedure molto occidentali. Forse il meta-messaggio potrebbe essere questo: è possibile l'integrazione di culture diverse, rispettandone i valori, ma rivedendone gli aspetti più arcaici e repressivi. Dovrà solo passare qualche generazione. Si pensi ai matrimoni combinati e alla ribellione verso la famiglia di Sandana, la giovane Tamil amica del protagonista, Maravan, ormai molto integrata. In fondo forse è proprio la cucina esotica, anche nella variante erotica, che pare essere l’asse portante del racconto, tanto che in appendice troviamo circa trenta pagine di dettagliatissime ricette. A proposito di cucina erotica, pare davvero improbabile che quei piatti abbiano un effetto così marcatamente erogeno, tanto da far avere un rapporto eterosessuale ad una donna convintamente omosessuale, come accade tra Anna e il protagonista.
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