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Che cosa hanno in comune Desdemona, Elizabeth da Edmonton e Lady Macbeth per l'immaginario inglese di fine Cinquecento e del Seicento? Hanno un legame con la persecuzione della stregoneria e i contemporanei eventi storici della rivoluzione puritana, della chiusura dei teatri e dello sviluppo del capitalismo? E, soprattutto, c'è isomorfismo fra stregoneria e teatro? Queste sono le domande da cui parte il libro dedicato alla stregoneria al tempo di Shakespeare. L'opera offre un approccio antropologico-letterario al Rinascimento, una comparazione tra società e letteratura del tempo, in una cultura che è possibile ricostruire attraverso la struttura retorica del teatro con le sue immagini simboliche.
Ne emerge un'Inghilterra travagliata dalla crisi: stravolgimenti economici e sociali, aumento della popolazione, esodo dalle campagne, carestie. Al centro delle tensioni campeggia la città di Londra, focolaio di impurità, con i teatri ambiguamente al limite della sovversione sociale, accusati spesso di promiscuità e indecenza, e che portano in scena figure ai margini delle istituzioni: prostitute, assassini, ladri, streghe. Figure indesiderabili, che fanno riemergere quello che l'autrice, integrando un'impostazione neostoricista e studi di gender con la psicoanalisi, chiama il doppio inquietante, l'altro: l'eccesso, il disordine, l'inversione - ritenute allora qualità tipiche della natura femminile, contrapposte all'ordine maschile. Figure che incarnano quindi, soprattutto le streghe, un altro sessuale da reprimere: nell'iconografia di pamphlet, documenti, sermoni del tempo, qui presi in ampia rassegna, il femminile è identificato con il male. Nella realtà quotidiana l'accusa di stregoneria a donne ribelli, criminali o soltanto emarginate diventa uno sfogo per le ansie sociali.
Qui entra in gioco un elemento interessante del libro: l'individuazione del teatro come la forma più adatta a rappresentare queste dinamiche culturali, poiché condivide con la stregoneria la struttura dell'inversione. Partendo da un aspetto originale del Rinascimento inglese, il libro di Mucci ricostruisce il complesso rapporto fra realtà sociale e figure teatrali di streghe, attraverso un'analisi simbolica e antropologica delle opere considerate. Kate, la bisbetica di The Taming of the Shrew di Shakespeare, è una di queste streghe letterarie, con il suo eccesso di parola che svela come mere costruzioni culturali le categorie linguistiche di maschile e femminile, su cui a giudizio dell'autrice si basa la società elisabettiana.
Altro comportamento contro-natura è quello di Desdemona in Othello, mostruosa per la sua passione verso l'altro razziale; demoniache sono poi le streghe di Macbeth, sospese nell'atmosfera magica e atemporale propria dell'inconscio, e la stessa Lady Macbeth, androgina e mefistofelica. Con il passare del tempo, però, i toni si fanno meno aspri: l'Elizabeth di The Witch of Edmonton, nella realtà impiccata per stregoneria, agli autori Dekker, Ford e Rowley appare ormai soltanto vittima dell'emarginazione sociale. Poi scoppierà la rivoluzione, il re Carlo sarà ucciso e i teatri chiusi; la caccia alle streghe giungerà al culmine per diminuire all'improvviso. Merito della nuova mentalità razionalista o, più probabilmente, suggerisce l'autrice, conseguenza di un ben noto processo di differenziazione sociale nel quale ogni posizione estrema verrà portata al centro e istituzionalizzata o, nei casi più pericolosi, espulsa oltre i margini, in paesi stranieri.
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