Il secondo romanzo, si sa, è la prova più difficile per un autore, soprattutto se il primo libro ha ottenuto un buon successo di critica e di pubblico. L'indulgenza che volentieri si accorda all'esordiente e che illumina pregi e originalità lasciando in ombra incertezze e cedimenti, scompare. Ora, anzi, l'esame si fa più severo di quanto sarà in seguito, quasi che sia proprio la seconda opera a testimoniare se colui, colei, di cui si sta parlando, potrà in futuro dirsi scrittore, scrittrice, e non casuale scrivente. Di tutto questo certamente è stata consapevole Simona Baldelli, che ha debuttato lo scorso anno con Evelina e le fate: finalista nel 2012 al Calvino, premiato nel 2013 con il John Fante opera prima, molto apprezzato dai lettori (circa quindicimila le copie vendute finora). Forse, come altri nella sua situazione, Baldelli ha pensato, e probabilmente qualcuno le ha suggerito, di non distaccarsi da quella calibrata fusione di storia vera e di realismo magico (un realismo magico molto italiano, in verità), che aveva connotato il suo romanzo d'esordio e ne aveva almeno in parte decretato il buon esito.
Con coraggio ‒ o più precisamente con una sicurezza di sé che in certo senso è la migliore conferma del suo talento – Baldelli ha scelto una strada diversa: Il tempo bambino è con ogni evidenza un romanzo scritto dalla stessa mano che ci aveva consegnato Evelina e le fate, e tuttavia è un altro libro, che sfugge a qualsiasi eventuale tentazione di ripetere una formula fortunata. Ma coraggiosa Baldelli lo è stata anche perché ha scelto, per questa sua seconda opera (la più esposta al giudizio, come si è detto), una materia che, per essere sulla bocca di tutti, non è meno incandescente: protagonista del libro è infatti un uomo dolorosamente attratto dal misterioso miscuglio di innocenza e sensualità che sembra emanare dal corpo impubere, un pedofilo, insomma.
Di quest'uomo noi non conosciamo il nome, e nemmeno l'aspetto. Sappiamo però, e lo scopriamo sempre meglio, a mano a mano che la narrazione procede, che nello scorrere dei suoi giorni si avverte (e lui stesso avverte) uno scarto, una contraddizione insanabile. Il suo mestiere di orologiaio – più che un mestiere un'arte, tanto è affinata in lui la capacità di immedesimarsi con il ritmo regolare degli ingranaggi – lo porta a percepire dentro di sé lo scorrere del tempo (“non aveva bisogno di orologi, lui il tempo lo aveva in testa”). E tuttavia, questo suo tempo interno è imperfetto, sghembo, sofferente: lo è per le improvvise aritmie del suo cuore, lo è per la sensazione che l'uomo prova, di rattrappirsi, ritrovandosi all'improvviso anziano e debole senza essere stato davvero adulto, lo è perché le sofferenze provate nella sua infanzia e mai elaborate lo hanno effettivamente inchiodato in un limbo, nel “tempo bambino” che dà il titolo al libro.
Dentro la frattura che si apre tra il ticchettare continuo e rassicurante degli orologi e la dimensione sospesa della sua psiche, questo fragile innominato subisce la presenza invadente e aggressiva della madre morta, insieme carnefice implacabile del figlio e tragica vittima a sua volta di violenza e sopraffazione. Un fantasma con “le labbra rosse di sempre e i capelli neri come le penne dei corvi del parco” che, in questo simile alla Nera e alla Scepa, le due fate del romanzo d'esordio di Baldelli, possiede una fisicità superiore a quella dei personaggi in carne e ossa. Così come è travolgente la fisicità di Regina, la ragazzina che entra di prepotenza nella vita dell'uomo e di cui non sappiamo, noi come lui, se si tratta di un essere reale “o una figura come la madre e la ragazzina con il tappo sull'occhio, un altro fantasma con la voglia di tormentarlo”.
Ma questo è in fondo un interrogativo inutile, perché Regina, figura vera o sognata che sia, è innanzitutto l'incarnazione di un desiderio, e nel disegnarla, con le sue scarpe di vernice, la borsetta rossa, le piccole unghie smaltate, l'autrice ha di certo avuto in mente le mille inconsapevoli lolite che non si rendono conto di avventurarsi, simili a tante piccole Cappuccetto rosso, lungo sentieri arrischiati. Come un lupo spelacchiato e dolorante (ma alla resa dei conti non per questo meno pericoloso), Mr Giovedì – così la bambina ha deciso di chiamare l'uomo – incontra la sua Regina in un mondo, in un tempo, che assomigliano molto a quelli delle fiabe. Un mondo e un tempo in cui Simona Baldelli si muove con agio, alternando descrizioni crudeli e sguardi pieni di pietà – sapendo bene, come ha scritto di recente Marina Warner, che “il ‘c’era una volta tanto tempo fa’ da cui le fiabe prendono avvio avvolge in un abito fantastico, a volte assurdo, fatti reali e dure verità”.
Maria Teresa Carbone