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recensione di Coletti, V., L'Indice 1997, n. 5
Quando si scriverà la storia della narrativa del secondo Novecento, il ruolo e l'importanza del "giallo" dovranno essere dichiarati a tutte lettere anche per il romanzo d'autore. La trama poliziesca è infatti una delle poche capaci di coniugare il fascino antico dell'intrigo (del "romance") con quell'esigenza descrittiva e interpretativa del reale che è propria del grande romanzo moderno (del "novel"). Per questo essa è stata assunta da tanti e tanto autorevoli scrittori, da Glauser a Dürrenmatt, da Mendoza a Montalbán, da Gadda a Sciascia. Caratteristiche ricorrenti del "giallo" d'autore sono: un delitto in cui sono perlopiù coinvolte alte sfere del potere economico e politico o apparati dello stato; un investigatore informale (perlomeno nei modi) e intelligente; personaggi strani (clienti, colpevoli, complici, ecc.) sui quali, più che sullo stesso protagonista, si ferma il gusto analitico e descrittivo del romanziere; una cura esasperata dei dettagli, anche secondari.
"La testa perduta di Damasceno Monteiro" di Tabucchi appartiene in pieno a questo genere letterario. Ci sono un investigatore atipico (qui un giovane giornalista); un deuteragonista stravagante su cui si appunta l'attenzione del narratore (si tratta di un avvocato obeso, disinteressato, solitario, che sembra sempre divagare e invece accumula nei suoi discorsi una folla di riflessioni e di curiosità che rivela un osservatore acuto e disincantato del genere umano); un delitto commesso da poliziotti; dovizia e accuratezza di particolari (qui, come anche in altri libri del "genere", soprattutto i cibi). In qualche caso, in questo tipo di romanzi ha un ruolo diretto la letteratura stessa, in prosa o in versi. Non ne fa economia Montalbán, ad esempio, e Tabucchi la usa a piene mani: il giornalista è uno studioso del romanzo neorealista portoghese e di Vittorini e cerca di applicare le teorie estetiche di Lukács; l'avvocato è un eccentrico esperto del diritto e disserta a tutto campo su Flaubert, Kafka, Gide, Hölderlin, Freud e Mitscherlich. C'è Pessoa, come ovvio data l'ambientazione portoghese del romanzo e le competenze del suo autore, c'è persino un episodio (quello del pescatore di cadaveri nel fiume) di matrice dickensiana e già letterariamente riutilizzato da Claudio Magris nel "Conde". E accanto alla letteratura c'è spazio anche per il cinema: un'evidente ed esplicita sinopia cinematografica sta dietro modi e soprannomi dell'avvocato; la struttura filmica della scena iniziale (un gitano che scopre il cadavere dell'assassinato nel bosco) è tanto chiara quanto perfetta. Nulla di strano in tutto questo. Tabucchi fa dire (in forma di citazione!) all'avvocato grasso che, "poiché l'oggetto intrinseco della letteratura è la conoscenza dell'essere umano, e poiché non c'è luogo al mondo in cui la si possa studiare meglio che nelle aule dei tribunali", tra i giurati di un processo dovrebbe esserci sempre uno scrittore.
Narrativa e diritto occupano dunque, per Tabucchi come per tanti romanzieri, due spazi molto più vicini e simili di quanto si potrebbe pensare. Dietro un narratore c'è spesso un inquirente e, quasi sempre, un giudice; il romanzo giudica il mondo e perlopiù lo condanna. Il giallo d'autore del Novecento lo fa montando abilmente istruttorie meticolose in contrasto con una realtà che vuole o si accontenta di indagini corrotte e incomplete. La ricerca del colpevole coincide così, perfino un po' moralisticamente, con quella della verità. Al tempo stesso, il racconto risulta sostenuto o perlomeno irrobustito dalla trama poliziesca, che offre un riparo anche ai suoi difetti, alle sua cadute. In questo caso, per altro, non ce n'era bisogno, perché tutto fila liscio, senza intoppi, guidato dall'autore con consumata bravura.
«Certo, una volta sì che era il Rey, quando i gitani erano onorati, quando la sua gente percorreva liberamente le pianure dell'Andalusia...»
Antonio Tabucchi, ovvero l'arte del romanzo. Utilizzando tecniche di vari generi narrativi, il giallo, il pamphlet filosofico, il romanzo civile, ecc., Tabucchi offre un'opera che può soddisfare vari tipi di lettori, da quello più raffinato e sofisticato, a chi cerca invece nella "trama" narrativa il motivo principale di interesse.
La testa perduta di Damasceno Monteiro è un falso giallo: ben presto si conoscono assassino e motivazioni del delitto, eppure la strada che porta al disvelamento dell'assassino percorre tappe investigative di vero interesse per il lettore. Protagonista è Firmino, giovane giornalista prestato alla professione dalla letteratura, sua vera aspirazione di vita. La strada che percorre per raccogliere le prove e le testimonianze dell'assassinio, rappresentano un percorso di formazione intellettuale e morale che trasforma lentamente l'opera in vero Bildungsroman. Ma l'evoluzione di Firmino corrisponde anche alla trasformazione della formula narrativa: diventa infatti preponderante la dimensione filosofica e civile. Vero protagonista, non dichiarato, ma indimenticabile per il lettore, diventa così "Loton", l'avvocato, il filosofo, colui che cerca la Grundnorm, la norma base: "È una proposizione normativa, continuò, sta al vertice della piramide del cosiddetto diritto, ma è il frutto dell'immaginazione dello studioso, una pura ipotesi". Un avvocato che, nella quasi immobilità fisica, riesce ad essere attivissimo, grazie all'agilità dell'intelligenza, che è maestro di vita con la sua scelta di essere dalla parte dei deboli, di difendere i loro diritti calpestati da un potere violento e stupido. Per amore di giustizia, per utilizzare ricchezza e potere non contro, ma a favore di chi è marginale e, in genere, da ricchezza e potere, oppresso. La paterna comprensione che dimostra nei confronti del giovane Firmino, non gli impedisce giudizi severi davanti alle ingenuità delle sue affermazioni, soprattutto quando si parla di letteratura. E così la vasta cultura di "Loton" (così gli abitanti di Oporto chiamano l'avvocato, a causa della sua somiglianza con l'attore Charles Laughton) emerge dalle dotte citazioni, sempre così perfettamente inserite nel contesto del libro e del personaggio. Da sottolineare il pretesto narrativo che Tabucchi utilizza, quando, fingendo una imperfetta registrazione, permette al lettore di ricostruire in modo soggettivo, l'arringa finale dell'avvocato, dando solo alcune citazioni da lui fatte in tribunale, con stacchi anche grafici, l'una dall'altra.
Il romanzo si conclude con una speranza: l'ingiustizia che sembrava aver trionfato, forse potrà essere sconfitta, grazie proprio a una "marginale", una prostituta, una delle creature che forse danno senso alla vita di Loton.
La vicenda è collocata a Oporto, una città che, insieme al protagonista, gradualmente il lettore conosce e impara ad amare nel suo essere contemporaneamente "inglese" e "araba", cinica e sensibile, accogliente e ostile.
A cura di Wuz.it
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