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Anno edizione: 1998
Anno edizione: 2017
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Trovare un critico capace di dire l’essenziale di un libro in venti righe facendosi capire da tutti è un antico sogno di molti caporedattori. Ebbene, almeno una volta quel sogno si è avverato: negli anni Trenta, in Argentina, sulle colonne di una rivista femminile dall’ominoso nome di «El Hogar» («Il focolare»). Il giovane critico che vi si addestrò in recensioni, saggi, «biografie sintetiche» e fulminee notizie culturali aveva scritto due libri dal titolo singolare, Storia universale dell’infamia e Storia dell’eternità, e si chiamava Jorge Luis Borges. Forse nessuna delle dame bonaerensi affezionate a «El Hogar» si rese conto che stava leggendo la prosa di colui che sarebbe divenuto un giorno il simbolo della letteratura stessa – o anche della più vertiginosa erudizione. E che ciò che le passava sotto gli occhi ogni settimana era una cronaca della letteratura di quegli anni stenografata momento per momento (ed erano anni in cui le novità sui banchi dei librai potevano portare i nomi di Kipling, Chesterton, T.S. Eliot, Kafka, Huxley, Döblin, Maugham, Hemingway, Simenon, Valéry, Faulkner, Steinbeck, Wells, Greene, oltre che dei numerosi emuli di Ellery Queen fra i quali il giovane Borges equamente si divideva). Ma non v’è dubbio che alcune di quelle dame dovettero apprezzare l’esemplare chiarezza e concisione dell’oscuro critico, e constatare – se per caso aprirono un paio dei libri recensiti – la portentosa precisione dei suoi giudizi. E non mancò forse chi seppe cogliere uno sprazzo della deliziosa ironia che circola in queste pagine di irreprensibile serietà.
Questo volume, che raduna i testi pubblicati da Borges su «El Hogar» fra il 16 ottobre 1936 e il 7 luglio 1939, è uscito postumo nel 1986 per le cure di Enrique Sacerio-Garí e Emir Rodríguez Monegal.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Scritti negli anni '30, con un linguaggio tarato per un certo pubblico (oggi diremmo "target"), questi testi stupiscono per la lucida chiarezza con la quale Borges mette a fuoco ed illustra le sue tesi. Ancora attuale e assai godibile.
Fa sorridere l'idea di recensire un libro di recensioni. Basterà dire che Borges recensisce libri in dieci righe e traccia biografie in venti. Il tutto in modo esauriente, sia quando esalta, sia quando stronca, spargendo genio a bizzeffe e divertimento a volontà. Una bella lezione per noi, che cerchiamo di fare altrettanto, ma riuscendo solo ad essere, nella migliore delle ipotesi, uno degli innumerevoli tentativi d'imitazione.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Trovare un critico capace di dire l'essenziale di un libro in venti righe facendosi capire da tutti è un antico sogno di molti caporedattori. Ebbene, almeno una volta quel sogno si è avverato: negli anni Trenta, in Argentina, sulle colonne di una rivista femminile dall'ominoso nome di «El Hogar» («Il focolare»). Il giovane critico che vi si addestrò in recensioni, saggi, «biografie sintetiche» e fulminee notizie culturali aveva scritto due libri dal titolo singolare, Storia universale dell'infamia e Storia dell'eternità, e si chiamava Jorge Luis Borges. Forse nessuna delle dame bonaerensi affezionate a «El Hogar» si rese conto che stava leggendo la prosa di colui che sarebbe divenuto un giorno il simbolo della letteratura stessa o anche della più vertiginosa erudizione. E che ciò che le passava sotto gli occhi ogni settimana era una cronaca della letteratura di quegli anni stenografata momento per momento (ed erano anni in cui le novità sui banchi dei librai potevano portare i nomi di Kipling, Chesterton, T.S. Eliot, Kafka, Huxley, Döblin, Maugham, Hemingway, Simenon, Valéry, Faulkner, Steinbeck, Wells, Greene, oltre che dei numerosi emuli di Ellery Queen fra i quali il giovane Borges equamente si divideva). Ma non v'è dubbio che alcune di quelle dame dovettero apprezzare l'esemplare chiarezza e concisione dell'oscuro critico, e constatare se per caso aprirono un paio dei libri recensiti la portentosa precisione dei suoi giudizi. E non mancò forse chi seppe cogliere uno sprazzo della deliziosa ironia che circola in queste pagine di irreprensibile serietà.
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