L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Promo attive (1)
recensione di Griffero, T., L'Indice 1996, n. 5
Che cos'avrà di tanto stimolante questo acerbo commentario giovanile schellinghiano (1794) ad alcuni luoghi del "Timeo" platonico (e del "Filebo") da indurre i curatori tedeschi a estrapolarlo dal lascito manoscritto e a pubblicarlo in anticipo rispetto alla sua più naturale collocazione nell'edizione critica? E quale urgenza oggettiva avrà spinto i curatori italiani a presentarne una traduzione a meno di un anno di distanza dall'edizione originale? Difficile sopravvalutare la questione che esso mette in gioco, giacché, se non rovescia del tutto l'immagine già nota degli anni altamente formativi trascorsi da Schelling con Hegel e Hölderlin a Tubinga, questo commentario ha tuttavia l'indiscutibile merito - come mette brillantemente in luce l'ampia introduzione di Moiso - di fornire un contributo formidabile all'annosa questione delle radici platoniche dell'idealismo tedesco. Già la sua semplice datazione segnala, infatti, in Schelling, sia l'anteriorità dell'influenza platonica (e non, come si pensava, solo di un generico neoplatonismo) rispetto a quella fichtiana, sia l'interesse costante per lo sfondo necessariamente irrazionale ed entusiastico della ragione stessa, nonché per una forma d'intuizione non sensibile che certifica il "legame" permanente tra l'uomo e l'origine degli esseri (e che di lì a poco assumerà il nome di "intuizione intellettuale").
Ma questo documento getta una luce assai perspicua soprattutto sul modo in cui Schelling, mosso dall'esigenza di spiegare come la ragione abbia potuto tradursi nel sensibile e da questo sia simbolicamente inferibile, coniuga spregiudicatamente antico e moderno, e precisamente kantianizza Platone e platonizza Kant. Da un lato, infatti, secondo il principio generale che Platone "ovunque proietta il soggettivo sull'oggettivo", egli riduce le idee da sostanze a forme logiche, pur senza mai circoscriverle all'intelletto umano; dall'altro, abbandona l'universale meccanicismo kantiano in favore di una visione teleologica e organica del cosmo modellata appunto sulla dottrina platonica dell'anima del mondo e non priva di una tonalità estetica. La kantianizzazione di Platone (vi insiste, nella postfazione, Federica Vigan•) non esclude neppure la trasformazione del mito cosmologico stesso in mito della conoscenza: i principi platonici di illimitato-limite-causa-misto (tratti dal "Filebo" e costantemente fatti interagire con il "Timeo") valgono per Schelling, infatti, tanto come "concetti mondani formali" preposti alla generazione della realtà, quanto come (kantiane) condizioni di possibilità della conoscenza. Vero filosofo, in ultima analisi, è quello che non sceglie tra Platone e Kant, ma sa scoprirne la comune concezione della ragione, fondata sull'esigenza di "separare nettamente la forma della conoscenza e della realtà dal contenuto sensibile" - il solo antidoto alla credenza "visionaria" nella perfetta continuità tra mondo ideale e mondo sensibile.
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore