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La figura caratterizzata e possente, la maschera enigmatica dell'attore napoletano si è imposta negli ultimi anni con forza straordinaria, in Italia e all'estero, sull'onda della fortuna di alcuni film di successo che ne hanno diffusa l'immagine, catturata nelle inquadrature di Mario Martone, di Matteo Garrone, di Paolo Sorrentino. Ma la forza penetrante delle interpretazioni cinematografiche di Toni Servillo si nutre dell'intero percorso artistico compiuto, affonda le radici nel suo mestiere principale, quello a sua volta duplice e unitario di attore e regista teatrale, affermatosi nel corso di un itinerario esemplare, fra avanguardia e tradizione, scena sperimentale e ufficiale, metropoli e periferia, napoletanità e cultura europea; itinerario che segna l'unicità e peculiarità di questo artista nel panorama italiano.
Il bel libro di Silvia Grande ripercorre con slancio questa vicenda che si dipana tra la fine degli anni ottanta e il presente (si ferma al 2008), servendosi di una fitta documentazione, di cronache teatrali, recensioni, interviste, fotografie. La giovane studiosa era partita dalla folgorazione al Piccolo di Milano, dove oltre agli studi universitari si diplomava in recitazione, per una replica della messinscena più celebre di Servillo, quel Sabato, domenica e lunedì che con rigore, originalità e freschezza, riproponeva nel 2002 la commedia eduardiana. Fra lo stupore e l'entusiasmo della critica, il grande interprete e regista dimostrava la forza e la classicità di quel teatro, in grado di sopravvivere al suo autore, al modello fissato dalle riprese cinematografiche e televisive (ma proprio di questa commedia la registrazione non si è conservata, come nota Maria Letizia Compatangelo nella prefazione).
La formazione teatrale di Servillo era avvenuta ai margini della metropoli napoletana tra Afragola, dove era nato nel 1959, e Caserta e in modo estraneo alla tradizione scenica partenopea. Alla fine degli anni settanta, aveva fondato un gruppo sperimentale, il Teatro Studio di Caserta, che agiva all'insegna dei valori delle neoavanguardie, nel nome di Artaud e di una scena dove il corpo "scandaloso" dell'attore dialogava senza intermediari con le immagini, i suoni, le nuove tecnologie.
Il percorso di Silvia Grande muove dalla fine di questa esperienza (alla quale riconosce tutto il valore propedeutico), dalla fondazione, nel 1987, insieme a Mario Martone e Antonio Neiwiller, di Teatri Uniti, laboratorio teatrale in cui confluiscono gli sperimentalismi dei gruppi e si apre un dialogo non più interrotto con la tradizione napoletana, la grande drammaturgia europea e le rivoluzioni sceniche del Novecento. La formazione di Servillo prosegue nel lavoro comunitario, vissuto come in un affiatato ensemble orchestrale, dove il regista-attore è "primo violino in un'orchestra d'archi", come più volte si trova a precisare. E l'opera si perfeziona e vive sera dopo sera, sul palcoscenico, nel calore della performance e a stretto contatto con il pubblico. I maestri riconosciuti di Servillo sono ora il grande attore Louis Jouvet, Eduardo De Filippo e Leo De Berardinis, con il quale collabora nel segno di Eduardo per Ha da passà 'a nuttata, nel 1989. La lezione induce a un forte impegno artistico e morale, porta ad affrontare un lavoro senza precedenti sul linguaggio, la parola poetica, la voce. Un capitolo del libro è dedicato agli Spettacoli napoletani: oltre a Eduardo, Raffaele Viviani e la nuova drammaturgia di Enzo Moscato, come Partitura del 1988 e Rasoi del 1991. Un altro capitolo è dedicato a I classici europei, all'incontro di Servillo con il genio di Molière (Il Misantropo, 1995, Tartufo, 2000), nella traduzione vivissima di Cesare Garboli, e con Marivaux (Le false confidenze, 1998). La trilogia tutta francese è seguita quindi, nel 2007, dalla goldoniana Trilogia della villeggiatura, condensate le tre commedie in un'unica serata, come già aveva proposto Strehler anni prima. Ogni messinscena di Servillo è salutata da ampi riconoscimenti e successi decisivi in Italia e all'estero, la misura ternaria sembra sottolineare una cifra epicizzante che scandisce anche l'altro successo già citato, quel Sabato, domenica e lunedì in cui si articola la vicenda comicamente amara di Peppino Priore e della sua famiglia. Il passaggio al cinema nasce all'interno di Teatri Uniti, come naturale estensione di una pratica comunitaria e di un alto artigianato che si apre anche al linguaggio dello schermo, illustrato in un capitolo più breve.
Le voci molteplici della critica e degli studiosi, dei protagonisti di questa avventura, consentono a Silvia Grande di restituire frammenti intensi dell'operare di Servillo, tecniche e stili, temi e fili conduttori, nell'impasto davvero unico di alta tradizione, cura filologica che libera i testi da manierismi e convenzioni, nuova vitalità drammatica; senza dimenticare la lezione più malignamente oscura della contemporaneità, di una napoletanità ibrida e corrosiva, pervasa di umori cupi e nostalgiche manie.
Silvia Carandini
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