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Il secondo, conclusivo volume conduce fino ai nostri giorni l’inchiesta sulla “tradizione dei classici”, seguendo in particolare il progressivo sfaldamento dei codici formali nella lirica tra Arcadia, Parini e Leopardi, fino al loro “naufragio” sancito dall’ungarettiana ‘Allegria di naufragi’, e l’elaborazione di un progetto di “romanzo moderno” fra l’articolata vicenda genetica dei ‘Promessi Sposi’ e la sua “parodia” agonistica, lacerata, “barocca”, nella ‘Cognizione del dolore’ di Gadda. Aggirandosi ‘Tra le rovine delle forme classiche’ (così suona il titolo dell’unico, ampio capitolo che costituisce questo volume) il filologo-critico accompagna il lettore sulla soglia del Moderno, là dove tutti noi siamo coinvolti in un gioco difficile e delicato: di rispecchiamento non più solo nella tradizione, ma anche nella sua fine; di “risveglio” (come ha proposto Walter Benjamin) attraverso l'”immagine dialettica” di una nuova, non ancora ben delineata “tradizione del post-moderno”, che ci vuole “postumi alla modernità”. Proprio oggi che la crisi del moderno coinvolge in primo luogo l’idea di classico, di continuità della tradizione, riflettendo sulla lunga vicenda di cui questa crisi è in fondo l’esito più maturo scopriamo che il classico, lungi dall’essere un tranquillizzante “dato”, è un inquietante, radicale costruttore di “nuove origini”. Il classico, come ha scritto Calvino, “non ha mai finito di dire quel che ha da dire” e può ancora servirci “a capire chi siamo e dove siamo arrivati”.
Il secondo, conclusivo volume conduce fino ai nostri giorni l'inchiesta sulla "tradizione dei classici", seguendo in particolare il progressivo sfaldamento dei codici formali nella lirica tra Arcadia, Parini e Leopardi, fino al loro "naufragio" sancito dall'ungarettiana 'Allegria di naufragi', e l'elaborazione di un progetto di "romanzo moderno" fra l'articolata vicenda genetica dei 'Promessi Sposi' e la sua "parodia" agonistica, lacerata, "barocca", nella 'Cognizione del dolore' di Gadda. Aggirandosi 'Tra le rovine delle forme classiche' (così suona il titolo dell'unico, ampio capitolo che costituisce questo volume) il filologo-critico accompagna il lettore sulla soglia del Moderno, là dove tutti noi siamo coinvolti in un gioco difficile e delicato: di rispecchiamento non più solo nella tradizione, ma anche nella sua fine; di "risveglio" (come ha proposto Walter Benjamin) attraverso l'"immagine dialettica" di una nuova, non ancora ben delineata "tradizione del post-moderno", che ci vuole "postumi alla modernità". Proprio oggi che la crisi del moderno coinvolge in primo luogo l'idea di classico, di continuità della tradizione, riflettendo sulla lunga vicenda di cui questa crisi è in fondo l'esito più maturo scopriamo che il classico, lungi dall'essere un tranquillizzante "dato", è un inquietante, radicale costruttore di "nuove origini". Il classico, come ha scritto Calvino, "non ha mai finito di dire quel che ha da dire" e può ancora servirci "a capire chi siamo e dove siamo arrivati".
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