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Anno edizione: 2013
Anno edizione: 2009
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Colpiscono le innumerevoli disavventure che Pahor racconta della sua vita. Molto interessante per capire soprattutto la violenza psicologica oltre che fisica dei fascisti prima e nazisti poi nei confronti di quella che è una minoranza sempre vista con diffidenza. Può anche essere considerata la storia di una parte della cultura slovena. L'unico aspetto negativo a mio parere è l'inserimento ripetuto di innumerevoli brani tratti dagli altri suoi libri, quasi ad imbeccare il lettore nel leggere anche quelli.
Sapendo che Boris Pahor scrive in sloveno, ho cercato dappertutto il nome del traduttore, e non l'ho trovato. Ne deduco quindi che il libro lo ha scritto la sua intervistatrice, Mila Orlic, e che l'editore ha un po' "barato", indicando come autore Pahor. Il libro consente comunque di conoscere la vita dello scrittore e la vicenda degli sloveni che vivono sul territorio italiano: una minoranza che contava ben 350 mila persone immediatamente dopo la prima guerra mondiale, nei confini del regno d'Italia di allora, più estesi di quelli attuali. Dalla tolleranza multiculturale dell'impero austro-ungarico, gli sloveni si sono trovati a subire il fanatismo nazionalista del periodo fascista, e la diversa repressione del regime titoista. Sono stata colpita non tanto dai legami transfrontalieri che Pahor intratteneva con gli altri intellettuali sloveni che vivevano dall'altra parte del confine, in Jugoslavia, quanto dall'assenza di rapporti con l'intellettualità italiana non nazionalista (Magris o Tomizza, tanto per citarne alcuni)
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