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Anno edizione: 2003
Anno edizione: 2020
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Si tratta dell'ultima opera che la scrittrice riuscì a portare a termine: una silloge poetica che (ispirandosi all'immediatezza dello haiku) immortala impressioni che rivelano il volto del divino nella natura. Gli scritti di Yourcenar evocano spesso il concetto di divinità, ma la religiosità dell'autrice non s'identificò con alcuna confessione: la sua fine sensibilità e il vivo spirito di appartenenza alla natura erano la sua devozione alla vita e all'eternità.
Un primo istintivo fiato di contatto, sfogliando questo libercolo, è salito alla memoria nella riflessione di un'altra donna, Simone Weil: "Siccome siamo creature siamo contraddizione, perché siamo Dio e, al tempo stesso, infinitamente altro da Dio". Magnifico ed umile nella sua dolce resa ad intagliare un'immagine, lo sforzo cade davanti a queste tre lettere dove scibile e senso, scavo e abbandono, terragno e celeste si perdono e si congiungono in una presa sempre più stentata. Troppo infinitamente piccoli, troppo travolti da un'impotenza sovrana, cosa si può fare allora? Si chiede udienza alla poesia, si tenta attraverso di essa di corteggiare una prossimità credibile, un mezzo accenno che annusi uno strascico di veste, che inventi un segno, una traccia indiretta, portandoci per quel che può spifferi meno sconsolanti. Apro a caso questo diario e mi soffermo sulla definizione numero 26: "Un cieco che canta e un bambino invalido". E mi dico che ha un suono e una forza umanamente stupendi, giacché cala nella vita di ognuno questa somma parola accostandola a fattezze di carenza, a un'ombra sfregiata già nel suo stesso sorgere. Come a pareggiare l'incompletezza degli uomini, la loro essenza tradita, il loro genio affossato. Ma è ugualmente amorevole definire Dio "Sole nascente sopra un lago ancora mezzo ghiacciato", come a sperare in un calore che nessun essere può procurarsi da solo. O ancora vederlo nel "piccolo pesce che agonizza nella gola dell'airone", lì, nel grido che depone ogni lotta e si consegna ad una forza superiore. O nei più semplici giorni dove Dio può essere "la buona terra, la sabbia e la cenere", meravigliosa triade dove ciò che fruttifica è accanto a ciò che svanisce, stagione inversa e sorella nel cammino di ogni singolo deserto. In qualche Altrove negato ad occhio comune forse la certezza si trova, o forse è lo stesso Dio che dal suo scranno sogghigna sperando ancora nel più esatto dei suoi ritratti. Le parole provano come possono. Come la vita.
Della Yourcenar è necessario leggere tutto. Sfugge un po' il senso di una raccolta sui 33 nomi di Dio come testo indipendente. Sarebbe stato opportuno inserirlo come silloge in un contesto più vasto, come estensione al commento di altre opere più note. Posto che la collana "i sassi" presenta dei brevi pamphlet, trova un senso in testi come quello di patrick chamoiseau ed in altri brevi saggi, qui fornisce un contesto incompleto. Un apparato critico sarebbe stato auspicabile, anche se stringato.
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