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Dopo i fondamentali e, per molti versi, pionieristici lavori di Jacques Godechot, gli storici francesi non hanno mostrato grande interesse per le vicende dell'Italia nel periodo rivoluzionario. Bisogna salutare perciò con particolare piacere l'uscita di questo libro, proprio perché consente allo studioso e al lettore italiano di osservare uomini e fatti del triennio 1796-99 con gli occhi penetranti di un maestro della storiografia d'oltralpe. Se si eccettua una recensione a un libro di Anna Maria Rao (
recensioni di Criscuolo, V. L'Indice del 1999, n. 11
Affrontando la vexata quaestio dei rapporti fra la storia italiana e la rivoluzione, che ha sempre suscitato nella nostra cultura ostinati silenzi e accanite incomprensioni, Vovelle riconosce che gli eventi francesi hanno lasciato in Italia una traccia più profonda che negli altri paesi europei. Lo dimostra fra l'altro anche il gran numero di convegni, di mostre, di commemorazioni, di libri dedicati nella penisola alla celebrazione della Rivoluzione, frutto di uno sforzo organizzativo nel quale l'Italia è stata seconda solo alla Francia.
Pur consapevole di contrastare convincimenti ben radicati nella storiografia italiana sul XVIII secolo, Vovelle ricorda che nel 1789 le politiche riformatrici si erano già esaurite, seppur con tempi e modi diversi, nei vari Stati italiani. Anche per questo l'esempio francese poté agire in profondità, favorendo la maturazione di umori e di aspirazioni che erano già presenti nella vita politica e intellettuale della penisola: "L'Italia del 1789 ha in comune con la Francia, ma con tratti specifici, un'esperienza politica recente che, pur rischiando di semplificare eccessivamente, definirei come lo scacco del dispotismo illuminato o della riforma dall'alto".
Si innescò da quel momento un complesso intreccio di azioni e reazioni attraverso il quale la tradizione storica e culturale della penisola poté confrontarsi e rivitalizzarsi con la straordinaria esperienza della Rivoluzione, conservando però la sua specificità, tant'è che quasi mai le idee e i progetti fioriti in quegli anni si ridussero a essere mero calco o copia del modello francese. A questo riguardo Vovelle insiste opportunamente sull'originalità dell'esperienza italiana, che deve essere considerata "una rivoluzione a pieno titolo nel contesto della Grande Rivoluzione". Naturalmente la storia italiana fu condizionata dal fatto che le truppe francesi scesero nella penisola solo quando la dinamica rivoluzionaria si stava ormai progressivamente spegnendo. A partire da questa constatazione, Vovelle ci fornisce un quadro assai equilibrato del triennio 1796-99, nel quale trovano il loro giusto rilievo sia le forze più radicali, costrette a misurarsi con l'atteggiamento ostile del regime direttoriale, sia i gruppi moderati che ressero in larga misura le repubbliche formatesi in quel periodo, sia le molteplici resistenze che sfociarono più volte nel fenomeno delle insorgenze controrivoluzionarie.
Altro motivo di interesse del volume è lo spazio dedicato alla storia delle immagini, un filone di ricerca al quale già da tempo Vovelle e i suoi allievi hanno dato un impulso decisivo. In appendice il lettore può trovare infatti una scelta di stampe e di rappresentazioni la cui analisi, sviluppata nei vari saggi, dimostra come nel corso del triennio l'immagine e la caricatura si siano imposte come un nuovo linguaggio, al quale non esitarono a ricorrere gli stessi nemici delle novità rivoluzionarie.
Vovelle non dimentica naturalmente il peso dell'occupazione militare francese, con le rapine, le requisizioni, le malversazioni dei commissari civili e dei generali, i colpi di Stato imposti alle repubbliche sorelle, e si sofferma soprattutto sulla cessione di Venezia all'Austria, "amara smentita della promessa rivoluzionaria di emancipare i popoli e di rispettare il loro diritto di autodeterminazione". E proprio per quest'ultimo aspetto ci offre due contributi di grande interesse, nei quali analizza, rispettivamente, gli umori dell'opinione pubblica francese di fronte alla caduta di Venezia, utilizzando fra l'altro i rapporti di polizia pubblicati alla fine del secolo scorso da Alphonse Aulard, e le valutazioni espresse dalla storiografia transalpina sulla fine della repubblica veneta.
Il libro dà anche grande rilievo alla figura di Bonaparte, e mostra ad esempio, analizzando ancora le testimonianze iconografiche, come si è formato in Italia il mito napoleonico attraverso "una delle più grandi manipolazioni dell'opinione pubblica dell'età moderna". Ma soprattutto è degno di nota l'ultimo scritto, che coglie con grande acume i molteplici aspetti del rapporto fra Napoleone e l'Italia.
Vovelle ritiene che l'Italia conservi nella memoria collettiva una valutazione della figura di Napoleone più positiva rispetto alla Francia, considerandola un fattore decisivo di modernizzazione della penisola. Senza dubbio lo storico francese risente qui della tradizione repubblicana che non ha mai perdonato a Napoleone il 18 brumaio. Vogliamo ricordare peraltro che sulla memoria storica italiana ha pesato a lungo in senso negativo la completa sottomissione della penisola da parte di Bonaparte, tant'è che sono mancati in genere nell'Italia ottocentesca gli slanci entusiastici che la leggenda napoleonica seppe suscitare in altri paesi europei.
Trovandosi a ripercorrere le stesse strade lungo le quali scesero nella penisola due secoli fa i suoi connazionali, Vovelle si chiede, sul filo dell'ironia, in quale veste uno studioso transalpino possa presentarsi oggi agli amici italiani a rievocare la presenza francese nella penisola: sarà visto come un "patriota missionario", o piuttosto come un emulo dei commissari del Direttorio, venuto a depredare perfino la memoria storica del paese conquistato?
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