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Polifonico, filosofico, musicale: dalla memoria personale al canto del mistero. Uno dei più importanti libri di poesia italiana degli ultimi due decenni.
A volte con i libri si comincia male...Non appena sfogliate tre pagine di questo libercolo ho già trovato di che lamentarmi. Nella sezione "Il grande male", in cui con furbeschi ammiccamenti a certi pacifondai intesse una -diciamo- scalcagnata decostruzione-ricostruzione del male per cui è sempre la solita America imperialista affiancata da israelfascisti - ma non è questo il male peggiore qui, ci infila distrattamente, entro una sequela ordinata&ordinaria di endecasillabi terzinati come soldatini belli in dantesche fila, ben quattro versi ipermetri. Per secoli e secoli la stessa bugia" (13 sill.)p.71; "Brescia, Piazza della Loggia, infamità!..." (12 sill.)p.72; "che cose non sono, ma merce obbligata!” (12 sill.) p. 73; “Libera America e tutta la sua corte!” (12 sill.) p.73. Basta. Le mie tre pagine per pagare l’errore commesso le ho avute. Il libro è ruzzolato dritto nel cestino, senza parole da aggiungere.
Recensioni
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Una controversa ma efficace categoria critica proposta dall'appassionato ispanista Oreste Macrì era stata quella di gruppo e affettiva insieme di "generazione": che tendeva a collocare ogni singola voce poetica anzitutto appunto nell'alveo della generazione alla quale apparteneva, sia che l'autore fosse partecipe dell'"avventura" della propria generazione, sia che avesse inteso far parte per se stesso. Potremmo muovere da qui per avvicinare la poesia di Gianni D'Elia, di cui leggiamo ora nella collanina "Bianca" Einaudi l'ultimo libro Trovatori; e potremmo anche aggiungere un'altra categoria, non tanto frequente in ambito poetico, che è quella della dialogicità. La sua è una poesia discorsiva, interattiva, dialogica e fiduciosa nella transitabilità del discorso poetico e del valore comunitario della poesia, nonché nel valore politico di un testardo e irrequieto e insoddisfatto dialogo affettivo. Non abbiamo qui insomma un cosiddetto "io lirico" ma un noi, diciamo un "noi lirico", che è la generazione di sognatori del sogno sconfitto del '77: il suo primo libretto Non per chi va, fu nel 1980 un vero e proprio cult book, e non solo per quella generazione.
E infine, dalla riflessione sulle sconfitte del '68 e del '77, potremmo ancora trarre un'ultima categoria, anche questa a titolo puramente indicativo, di avvicinamento, e non classificatorio: la ormai dismessa categoria della cosiddetta poesia "civile", anzi per dirla con D'Elia che a sua volta cita Pasolini, "incivile". Su orme incivili si intitolava una sezione della sua bella raccolta del 1996, Congedo dalla vecchia Olivetti, esemplata sul poeta dissidente per eccellenza P.P.P., sul quale (e su Petrolio in particolare) D'Elia ha pubblicato recentemente due saggi nelle edizioni Effigie.
Da allora, e ancor più a partire dalla raccolta del 2000 Sulla riva dell'epoca e poi in Bassa stagione, ha inizio il poetico dialogare "incivile" di Gianni D'Elia, in terzine pasoliniane e ancor prima pascoliane, e ancor prima dantesche, che si ostina a voler capire come sono andate le cose, denunciando senza perifrasi le vicende del nostro paese: il nostro bellissimo paese malato, del quale sfilava davanti ai nostri occhi, in quelle poesie, la regione costiera marchigiana presso Pesaro, dove vive D'Elia, con la ferrovia, il mare, le tamerici, il tufo e il degrado delle coste che guardano le martoriate coste dalmate di fronte.
Nel suo ultimo libretto Trovatori, frutto di tagli rigorosissimi imposti al rigoglio di una poesia che è per lui naturale come la tenerezza del respiro, il paesaggio è meno presente: in favore del ragionamento, e canto, di un'ansia di passione e di verifica "che non teme come scrisse Ingrao anni fa sul 'manifesto' l'invocazione, i toni dell'appello". È una sorta di poema disarticolato in più voci, legate dal basso continuo della dolcezza dell'impasto fonico-ritmico delle terzine, una sorta di ariosa béchamel che introduce, con i suoi caratteristici tre puntini di sospensione, le varie voci anonime, fra cui quella dell'autore.
Ma si tratta anche di un libro di poetica: un "necrologio collettivo, pacifista e utopico" come dice la quarta di copertina, ma anche il libro di denuncia di un tempo, il nostro, sempre più avvinghiato alla e dalla storia e sempre più lontano dalla natura. La lezione delle visionarie terzine narrative pascoliane e poi pasoliniane è la disgregazione della terzina stessa, che persiste in segno rovesciato, in una metrica ossimorica, in continua contraddizione con se stessa per le fitte inarcature, nel suo ostinato discorrere a maglie larghe, di assoluta oralità e fiducia nell'impurità della parola e nella mescidazione di tutte le parole che concorrono a fare l'italiano: un "parlar franco" che comprende i dialetti volgari o neovolgari (non dimentichiamo la sua rivista "Lengua" che vide la luce fra il 1982 e il 1994).
Il vero modello è molto alto: è il Dante della Commedia, con gli incontri raramente prosopopee che attraversano anche il Caproni del Congedo (in esergo nel libro del '96: "Era così bello parlare / insieme, seduti di fronte; così bello confondere / i volti (fumare / scambiandoci le sigarette), / e tutto quel raccontare / di noi
"). La funzione-Dante è proposta in sogno, fin dalla poesia di apertura: "Se varie voci parlano in un sogno / o nelle stanze del reale mondo, / io non so, ma so che dentro ogni sogno // ci son stanze che sembrano le nostre, / e con persone che sembriamo noi / dialoghiamo, delusi da batoste, // dal prima in cui riandiamo al nostro poi
".
E Una discesa al Limbo è il titolo di una sezione di questo libro, dalla struttura molto costruita, sezione nella quale compaiono con il loro nome, come nella Commedia, anche i viventi. Nel susseguirsi di battute non è sempre chiaro chi sia il parlante (lo spaesamento per chi legge ricorda, su tutt'altro registro, certi implacabili dialogati di Ivy Compton-Burnett). Chi sono i trovatori? Coloro che si esprimono in questo "parlar franco", del quale troviamo il luogo deputato nella sezione di apertura: La cena, fra amici, la "dolce cosa delle nostre sere", a tavola, che è anche il momento della discussione "Ah quelle sere beate, sui moli, / col tanfo degli scogli e l'umidore / della brezza che sale, con i toni // delle voci già umide di vino
". È una poesia che vorrebbe rifarsi orale a scapito di quella scritta, in colloqui popolari e collettivi come quelli dei trovatori, o come quelli con i muratori arrivati dall'Albania nella casa accanto, che ogni mattina riprendono assieme al lavoro sommerso il loro dire comune nella sezione Il grande male. L'Italia "come un grande male": "Le voci, che si sentono arrivare / dal vicolo, di donne e muratori, / salgono su dal fondo della nave
", "Tra vecchio abisso e nuova sommersione, / ignaro sta il presente del suo male, / il mondo alla terra ha rotto il motore!...".
In questa rischiosa scelta in favore della poesia civile c'è però anche una sezione dedicata alla morte del padre (La scomparsa). "'Ora, anche mio padre è storia, se il modo / che ha di mutarsi in storia natura, è morire
' / 'Questa, è la prima estate che non vive
'": zona dolorosa e altamente poetica, come la sezione dedicata alla morte della sorella in Sulla riva dell'epoca, un "tu" , la sorella Lina morta di Aids a trentasei anni, che era anche un "noi" della loro generazione, di chi insieme aveva vissuto, per dirla con Pasolini, il sogno di una cosa: in una pietas collettiva che persiste. E ancora, c'è una sezione di "poetica" dichiarata, In questa scena, sulla forma dialogata delle terzine: "'Di per sé, la parola è già un teatro
' / 'Ogni voce che viene, un personaggio
' / 'Fiume che scorre, fraseggio del fiato
'"; sezione nella quale talvolta ancora l'autore si abbandona a una dolcezza descrittiva alla Bertolucci (registro amato da certi suoi lettori): "Così, a volte, sembra di entrare, dritti / in un Seurat, in certe domeniche di primo / autunno, con cielo e luce di garbino, // e le nuvole alte, che lentamente coprono, / come un plaid sbrindellato, l'azzurro vivo, / così che morbide zolle bianche si muovono
".
Per Gianni D'Elia la poesia costituisce il cuore della ragione, nonché della sua stessa tenace e assoluta resistenza a una "modernità", la nostra, fondata sullo scambio delle merci. I parlanti si avvicinano in primi piani o scompaiono allontanandosi fino a perdersi, per poi tornare in una sorta di dissolvenza incrociata di elementi meditativi, memoriali e visivi, in questo dialogo poetico che sfrangia numeri e ritmi grazie a un eccesso di rime, assonanze, consonanze e allitterazioni. Ma il carattere più forte, e fortemente voluto dall'autore, di questo libro è la sua discorsività politica e civile, un appassionato invito a credere ancora in una linea della poesia italiana che va da Gramsci a Leopardi a Pasolini: che intende riavvicinare la politica alla cultura e alla poesia.
La lunga sezione La tempesta (titolo shakespeariano), fortemente dantesca nell'indignazione e nello stile comico-basso, è attraversata da una rapida visione della bicicletta di Pantani e della sua oscura morte: appello ed esortazione a combattere l'"orrore", e utopia che un giorno la poesia, il vocio dei trovatori, torni a parlare nelle piazze d'Italia.
Laura Barile
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