L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2019
Promo attive (0)
Dall'autrice di Io non mi chiamo Miriam, un romanzo duro, appassionante, necessario che affronta un altro capitolo scuro nella storia della Svezia moderna.
«Una scrittrice sempre a favore dei deboli. Abbiamo bisogno della sua voce oggi più che mai» - Svenska Dagbladet
«Rispetto le persone che vivono gli inferni che Axelsson racconta, leggerne è una passeggiata. Anzi, quasi un obbligo» - Therese Eriksson, Expressen
Non ci si deve lasciar andare. Non si può strillare e far chiasso e menare botte. Nemmeno quando se ne avrebbe voglia. Nemmeno se si hanno tutte le ragioni del mondo. Non se si nasce donne.
Ex giornalista di successo e vedova solitaria nella sua amata Stoccolma, Märit si trova costretta a tornare a Norrköping, nella casa d'infanzia di cui non sente nostalgia, per festeggiare insieme al suo gemello Jonas il settantesimo compleanno. Un impulso irresistibile durante il viaggio in treno la spinge a scendere a Lund, dove non mette piede da cinquant'anni, e a cercare la tomba dei «malati» di Vipeholm, il grande manicomio in cui finì suo fratello maggiore Lars. Lars-lo-Svitato, lo Sgorbio, come lo chiamavano tutti: di colpo Märit non può più trattenere i ricordi e le domande rimaste senza risposta fin da quel tragico giorno in cui sua madre morì, quando lei era appena quattordicenne, e il fratellone che era sempre stato con loro venne fatto sparire. Perché Märit non riesce ancora a dimenticare, o addirittura a fingere che niente sia successo come tutti a casa hanno sempre fatto? Cosa accadde veramente in quel lontano 1962, quando lei entrò a Vipeholm e scoprì ciò che vi avveniva, domandandosi chi ne portava davvero la colpa, senza poter opporre altro che rabbia e vendetta al muro di solitudine che separava ogni membro della sua famiglia? Con il suo occhio clinico e ipersensibile alle sottili crepe nell'edificio della società svedese, e con la capacità di calarci nei percorsi ad alta tensione emotiva dei suoi personaggi, Majgull Axelsson indaga la fragilità dei legami famigliari in un Paese rigorosamente improntato all'emancipazione dell'individuo. E attraverso la ricerca di verità della sua protagonista affronta un tabù della socialdemocrazia scandinava, risalendo all'epoca della sua fioritura come modello di uguaglianza e solidarietà sociale per dare voce a coloro che ne furono tagliati fuori, privati perfino dei diritti umani.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Anche se scritto davvero bene, per me è troppo triste e il bilancio sui rapporti umani è troppo negativo.
Ho trovato questo libro davvero coinvolgente, con la sua scrittura ironica e diretta. La storia raccontata non è semplice da digerire, eppure ho ritenuto ad un certo punto che fosse necessaria, che la vita di chi ha familiari disabili, e la vita dei disabili stessi, abbia bisogno di un’attenta riflessione. Ma il libro non è solo questo : è l’evoluzione della protagonista, la sua crescita, la sua autonomia conquistata a fatica. Mi ha sorpreso davvero, lo consiglio!
Come dal precedente "Io non mi chiamo Miriam" anche da questo romanzo della Axelsson è impossibile staccarsi fino all'ultima pagina. E' un libro duro e cupo, manifesto spietato della condizione dei disabili mentali in Svezia negli anni '60 e che traccia un quadro inquietante delle famiglie che avevano la disgrazia di annoverare tra i loro membri una persona con disturbi del comportamento o dell'intelligenza. Il razzismo nella sua forma più subdola, parte integrante del tessuto sociale anche dei paesi notoriamente considerati privi di inibizioni e di pregiudizi, e causa di ipocrisia e violenza anche tra i membri "normali" del gruppo familiare. Giornalista affermata, l'autrice lascia trasparire la sua abitudine all'inchiesta dalla sua prosa diretta e senza orpelli, parca di parole ma capace di suscitare un grosso coinvolgimente emotivo che accompagna il lettore fino all'epilogo; la narrazione, che si dipana nell'arco di 50 anni, non ha la pretesa di sciogliere nodi o di risolvere conflitti ma solamente di trovare una formula qualsiasi per affrontare i sensi di colpa e sopravvivere al dolore. Una denuncia spietata e una testimonianza preziosa di un passato di cui è necessario prendere coscienza.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore