Alto 8.611 metri il K2 è la seconda montagna del pianeta, ma è di gran lunga la più difficile. A rigore dovrebbe chiamarsi K1, poiché è la più alta del massiccio del Karakorum, o con il nome locale di Chogori. Ma soltanto dopo che gli venne affibbiato il nome poi rimasto si scoperse che il Masherbrum o K1 era in realtà meno alto.
Il 31 luglio 1954 (manca poco al sessantesimo anniversario), alle sei di sera, Achille Compagnoni e Lino Lacedelli giungono per la prima volta in vetta. La “montagna degli italiani”, esplorata per la prima volta nel 1909 dal Duca degli Abruzzi e dal grande fotografo e alpinista Vittorio Sella, si guadagna così definitivamente l’appellativo; e gli americani, che nel 1939 hanno sfiorato la vetta, dopo la sfortunata spedizione dell’anno precedente, vedono sfumare un ambitissimo traguardo.
Ma nella spedizione guidata con piglio militare dal geologo Ardito Desio, attivo su quei versanti fin dal 1929, avevano svolto un ruolo chiave non riconosciuto, rischiando la vita, il giovane Walter Bonatti, allora ventiquattrenne, e lo hunza Mahdi Khan, che portarono le sei bombole di ossigeno ai due scalatori diretti alla cima e sopravvissero a un bivacco notturno, su un pendio verticale e senza attrezzatura, a più di 8.100 metri. Da quella notte nascerà un seguito di polemiche e processi concluso soltanto dalla pronuncia dei “tre saggi” nominati, con decenni di ritardo, dal Club Alpino Italiano nel 2004. La pronuncia, pubblicata nel 2007, dà piena soddisfazione ai meriti e alla versione storica di Bonatti; ma intanto le falsità e le accuse hanno infangato un’impresa straordinaria.
Quanto straordinaria è facile capirlo leggendo la densa ricostruzione di Mirella Tenderini, valente storica della montagna. Dopo il 1954 “il K2 non venne più salito per 23 anni: solo nel 1977 una spedizione giapponese raggiunse di nuovo la vetta”. Mentre in tutto il mondo le prime ascensioni invernali si susseguono a non molta distanza di tempo dalle prime ascensioni assolute, “nessuno è ancora riuscito a scalare il K2 in inverno”. Le prime donne giunsero in punta al K2 nel 1986; la prima donna italiana è stata Nives Meroi nel 2006. Nel 1979 Reinhold Messner giunge in vetta senza ossigeno, dopo aver scalato l’Everest senza ossigeno l’anno prima.
Molti libri sono stati dedicati al K2, e la Tenderini li ricorda. Ma la sua narrazione si discosta dalle altre per l’intuizione capitale che “la storia del K2 è strettamente legata a quella di tutti gli Ottomila”. Non solo tutti i tentativi fanno storicamente parte della “conquista”, ma anche le spedizioni precedenti alle grandi cime himalayane. Non ha senso considerare “vincitori” soltanto coloro che raggiungono la cima, e tanto meno ignorare coloro che individuarono la via e in gran parte la tracciarono nelle spedizioni precedenti. La prospettiva storica impone di allargare l’orizzonte, ed è quanto fa la Tenderini in questo libro. Come dimenticare che il 19 luglio 1939, alle sei di sera, lo sherpa Pasang Lama costrinse a rinunciare il tedesco-americano Fritz Wiessner a 244 metri dalla vetta, salvandogli quasi certamente la vita, e che il grande risultato del 1954 è preparato dalla spedizione italiana del 1909, che individuò la via di salita e stabilì un record di altitudine (7.498 metri) che resistette per tredici anni?
Andrea Casalegno