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Finalista al Premio Strega 2020 - Vincitore del Premio Strega Giovani 2020 - Finalista al premio Viareggio-Rèpaci 2020, sezione Narrativa - Finalista al Premio Wondy per la letteratura resiliente 2021
Ha vent'anni Daniele quando, in seguito a una violenta esplosione di rabbia, viene sottoposto a un TSO: trattamento sanitario obbligatorio. È il giugno del 1994, un'estate di Mondiali. Al suo fianco, i compagni di stanza del reparto psichiatria che passeranno con lui la settimana di internamento coatto: cinque uomini ai margini del mondo. Personaggi inquietanti e teneri, sconclusionati eppure saggi, travolti dalla vita esattamente come lui. Come lui incapaci di non soffrire, e di non amare a dismisura.
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Una bella lettura è stata quella di questo testo, condotta in parallelo con la visione delle due stagioni omonime che ci ha offerto Netflix. La prima assolutamente aderente, nel ritmo narrativo e nei personaggi al testo originario; la seconda invece come sequel appositamente studiato per il piccolo schermo e l'home video. Il romanzo è più duro di quanto non appaia la serie Netflix, condita - tra l'altro - con il sorgere di una storia d'amore tra il Daniele ricoverato ed una giovane paziente, affascinante, nell'ala femminile del reparto. Un unico difetto: la storia per quanto fondata su esperienze probabilmente vissute in prima persona dall'autore stesso non è del tutto veritiera rispetto al reale. La situazione che vi viene presentata, quanto a tipologia di degenti nel repartino di psichiatria è più simile a quella di pazienti che si potrebbero incontrare in una CTA per pazienti psichiatrici con percorsi residenziali di più lunga durata La situazione appare, quieta e tranquilla, e gli avvicendamenti (per nuovi ingressi o per dimissioni) avvengono con ritmi lenti e pigri. Daniele si ritrova ricoverato in TSO e vive questi sette giorni, passando da una dimensione di cinico rifiuto ad una di accettazione e maggiore comprensione, mostrando alla fine di avere tratto da quest'esperienza un ammaestramento prezioso. e soprattutto arricchito da questa esperienza di condivisione Penso che, nella realtà, purtroppo, le cose non vadano esattamente in questo modo, ma in ogni caso - a parte la sua lieve distorsione rispetto al vero - la narrazioni è fruibile, gradevole e coinvolgente, forse un pizzico buonista: e quest'aspetto nella serie Netflix verrà amplificato al massimo.
Libro scorrevole e molto godibile. Commovente
La vita scarnificata da percorsi di sofferenza e di desolazione riesce ancora a far nascere germogli che hanno la bellezza di una umanità capace di rinnovamento e persino di purezza. E così i cinque personaggi della vicenda, degenti costretti in una camerata di un reparto psichiatrico, sconfitti e annichiliti dalle loro stesse biografie, ritrovano la forza di donare e di donarsi.
Recensioni
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Senza scomodare giganti, Silvia Plath o Umberto Saba, c’è una tendenza, o molto più probabilmente un’esigenza, recente e viva nelle ultime stagioni letterarie italiane. Di poeti che si mettono a scrivere in prosa o fanno incursioni lontane dai versi ce ne sono parecchi. Loro avranno bisogno di esprimersi nella narrativa e la narrativa ha bisogno di loro, della poesia, forma autentica, scomoda, così distante dal diluvio di parole che i media, social e no, ci restituiscono ogni giorno. Non ce ne vogliano Valerio Magrelli o Maurizio Cucchi, che si è cimentato compiutamente con la forma romanzo, non ce ne vogliano i giovani Andrea Donaera e Valentina Maini (di recente autori di romanzi, ma provenienti dal mondo dei versi), ma le eccellenze del “genere” vanno rintracciate altrove, in Gian Mario Villalta, pubblicato da Sem, e ancora più in Daniele Mencarelli, sorprendente – anche per i numeri delle vendite – da esordiente con La casa degli sguardi, due anni fa, e adesso di nuovo alla ribalta, strameritatamente nella dozzina dei candidati al premio Strega, con Tutto chiede salvezza (204 pagine, 19 euro), edito da Mondadori come il romanzo di debutto. Sono due romanzi, quelli di Mencarelli, in cerca di lettori, che ne troveranno, perché non fanno sconti ma danno ristoro, perché non usano “trucchetti”, ma sanno avvolgere chi li legge, perché hanno dentro il freddo dell’anima e il calore della rinascita. Perché sono ruvidi, credibili, palpabili e palpitanti. Onesti fino allo spasimo.
C’è indubbiamente poesia e tantissima umanità nelle nuove pagine di Daniele Mencarelli, ambientate a Roma, nell’estate caldissima del 1994. Ci sono parole che vibrano e non soltanto per il registro dialettale. C’è grazia e meraviglia nella durezza di una sgangherata e speciale compagnia in cui si ritrova il protagonista, un ventenne che dopo un accesso di rabbia finisce per una settimana in un reparto psichiatrico, dove è sottoposto a un trattamento sanitario obbligatorio. I vertici dell’esagono, oltre al ventenne, si chiamano Gianluca e Mario, Madonnina, Alessandro e Giorgio, vite di vicoli ciechi, fragili finiti a un angolo, ai margini dell’internamento coatto. È a questi piccoli che Daniele si aggrappa, mai davvero a medici o infermieri (che non hanno risposte), è fra loro, i compagni di sventura, che riconosce un senso di fratellanza. «I miei fratelli» li chiama, quando le pagine sono quasi esaurite.
L’empatia più delle cure, l’ascolto più dei farmaci. Ecco cosa servirebbe a questa specie di superstiti, «esposti alle intemperie», chiusi tra le mura di un ospedale, fra sofferenza e domande, fra il troppo vivere – specie il protagonista – e la ricerca di un senso da dare alle vite, alle azioni, alle cose. Una chiave gliela danno i compagni derelitti che «malgrado tutte le differenze visibili e invisibili, sono la cosa più somigliante alla mia vera natura che mi sia mai capitato di incontrare». La bellezza e la libertà dello sguardo sono il passaporto per tornare alla vita. Per provare a superare quello che non si può dire, smarrimento, disagio, rabbia, impotente desiderio di ribellione, i dolori difficili da intercettare o, quando intercettati, da mostrare, da far capire al prossimo.
Tra le anime smarrite, ingarbugliate e spezzate che lo circondano per una settimana, nell’umanità di gesti e parole, nel commiato, Daniele matura un concetto semplice ma essenziale: non è ancora finita, in quel tempo circoscritto e sospeso, in quel luogo che gli si imprimerà perennemente negli occhi e nel cuore, qualcosa cambia, il futuro può nutrirsi di scoperte smisurate, di accadimenti non più insensati, della salvezza agognata nei primi vent’anni di esistenza e, ancora più nei decenni che seguiranno; nel mondo là fuori, palpabilmente reale e spaventosamente intensificato, il futuro può saziare la fame di parole e di vita, non spegnere ma alimentare l’incendio per stare al mondo.
Recensione di Salvatore Lo Iacono
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