Immaginatevi Sigmund Freud e il conte Dracula, il primo seduto in poltrona e il secondo sdraiato sul famoso lettino, che conversano amabilmente nello studio londinese del padre della psicoanalisi in cui gli ultimi raggi del sole faticano a filtrare attraverso le spesse tende tirate. Si potrebbe dire che avrete così davanti agli occhi l'immagine chiave di uno degli episodi centrali del libro d'esordio di Francesco Baucia, se non fosse che il nome Dracula non è mai citato e che anche il termine vampiro fa, nel testo, un'unica fugace apparizione. Il fatto è che L'ultima analisi è un sofisticato gioco d'intrecci in cui, nonostante la voluta reticenza, il mito gotico celebrato da Bram Stoker è ben riconoscibile dietro la trasposizione nella Londra del 1938 in cui Freud trovò rifugio dopo la stretta nazista su Vienna. Uno dei pregi del romanzo è però quello di essere riuscito a stemperare la ripresa del motivo vampiresco in una storia che sa alludere senza ricalcare, al punto che l'incontro tra Freud e il dottor Seward, i coniugi Harker e il conte di Orlock non sembra affatto inverosimile e, anzi, è costruito con una notevole sapienza narrativa che dosa l'inevitabile intreccio di finzione e di realtà in un crescendo avvincente e non scontato. Così gli elementi che caratterizzano gli anni londinesi di Freud lo stretto rapporto con la figlia Anna, l'avanzare della vecchiaia e l'incedere della malattia, il senso di colpa per la fuga dalla propria città e la preoccupazione per il destino dei familiari lasciati in Austria si mescolano nel romanzo alle vicende di cui sono protagonisti Mina Harker, affetta da strane crisi di possessione, e i tre uomini a lei indissolubilmente legati. I due mondi entrano in contatto quando il dottor Seward, psichiatra nella clinica di Carfax e amico della famiglia Harker, si decide a interpellare Freud in merito alla patologia della donna. L'iniziale diffidenza del celebre medico nei confronti del caso si volge presto in curiosità, mentre la storia prende risvolti tragici e rivela, a forza di sapienti colpi di scena, tutti i suoi lati più oscuri. Le tinte fosche del romanzo, congeniali al genere, sono amplificate dagli echi costanti dell'avanzata nazista e della guerra ormai alle porte, così come le tenebre che spesso calano sullo studio di Freud non possono che far pensare al lento spegnersi della sua esistenza e, al contempo, al temuto crepuscolo dell'Europa. Luci e ombre scandiscono così gli ultimi mesi di vita di Freud, forzatamente e dolorosamente lontano dalla propria patria, e l'ultima analisi legata alla vicenda di Mina Harker, "l'unico incubo che nella sua vita si fosse rifiutato di analizzare", sembra quindi l'inevitabile epilogo di un uomo da sempre in contatto con le visioni oniriche e i deliri della psiche. È proprio in questo ritratto profondamente umano che risiede uno degli aspetti più interessanti del romanzo: a margine del divertissement entro cui si potrebbe ascrivere il romanzo di Baucia, si staglia l'intenso scandaglio psicologico dell'animo di Freud, fotografato in fondo come un uomo che deve fare i conti con l'approssimarsi della propria fine e con tutti gli interrogativi a essa associati. "Casa è il luogo dove si può vivere e morire in libertà", sentenzia Orlock durante il suo primo incontro con Freud a Regent's Park, e in questa frase forse si nasconde il senso più profondo del libro. Serena Sartore
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