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Anno edizione: 2015
Anno edizione: 2015
Anno edizione: 2023
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Meraviglioso. Semplicemente meraviglioso. Un libro che scopre la ferita, ancora aperta e sanguinante, dei regimi totalitari, della brutalità di regime, delle repressioni annegate nel sangue e mostra, questa ferita, a noi occidentali che da certi problemi ci crediamo distanti, al sicuro. Un libro potente, poche pagine di una forza inaudita. Eccezionale.
Questo romanzo decolla in verticale con la potenza dei razzi che Werner von Braun sparava da Peenemunde contro l’odiata Inghilterra. Ed ha potenza del J’accuse di Émile Zola. Le schioppettate partono subito nell’incipit. Ecco come descrive il Condottiero Supremo (Khomeiny?): “Il suo sguardo galleggia, si perde e s’inabissa in lui con costante regolarità, senza mai posarsi. Uno sguardo da pazzo, terribile e di colpo intenerito dall’amnesia. Mi chiede di avvicinarmi mentre con l’indice si sbroglia la barba, rigida come un pezzo di legno … I suoi artigli mi avvitano e svitano il cranio … Il folle mi accarezza la guancia, mi sussurra all’orecchio che non si fida più della sua cerchia”. Si ha subito l’idea del clima di terrore instaurato nella repubblica teocratica iraniana, al punto che anche i vertici al potere si devono circondare di pretoriani per sventare congiure. La trama in breve: Vima, la No. 455 nella prigione di Devine, sadicamente torturata ogni giorno, viene all’improvviso liberata da un misterioso colonnello che la sottrae agli aguzzini con uno schioccar delle dita. La fa curare in ospedale e poi fuggire all’estero. Lui stesso è costretto alla fuga. Anni dopo s’incontrano in un ufficio per richiedenti asilo, lei come interprete, lui come postulante. E’ un confronto fatto di soliloqui, si scrutano e si esaminano a distanza, lei piena di sospetti, lui che non le svela di essere il suo salvatore. Alla fine c’è l’agnizione, con un duro scotto da pagare. E’ un romanzo breve, intenso, decisamente drammatico. Fariba ha a disposizione solo una bocca da fuoco (questo racconto) ma lo trasforma nell’organo di Stalin, il lanciarazzi Katiuscia, in grado di sparare salve da 16 a 48 razzi. Si dice che Le Mie Prigioni di Silvio Pellico costarono all’Impero Austro-Ungarico ben più delle Guerre di Liberazione italiane. Magari anche questo romanzo sarà in grado di scavare voragini sotto i piedi di un regime che ha soppresso ogni libertà. Dio ci scampi dai regimi teocratici.
Libro magnifico (...e brutto titolo?)! La prosa è poetica, scarna e potente; la traduzione quindi è eccellente. La trama e i contenuti sono profondi: l'empatia fra vittima e carnefice è un tema a mio parere difficile da raccontare e solo un poeta può farlo in maniera efficace, e questa scrittrice iraniana ci riesce miracolosamente.
Recensioni
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