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Edizione 1913 davvero superlativa. Nello stile non è presente l'onniscienza del narratore, ma attraverso i dialoghi e discorsi indiretti liberi si ha un agglomerato di punti di vista che riflette la maschera umoristica che ciascun personaggio indossa a sua insaputa, fino a quando per un motivo o per l'altro il flusso della vita non lo costringe ad annullarsi nella follia o nel fallimento esistenziale. Girgenti, nella sua desolazione, rappresenta il fallimento risorgimentale dei Vecchi che pur essendosi battuti per un'Italia unita ora sono politici corrotti che hanno permesso una vera e propria colonizzazione del sud a favore del Nord, della capitale Roma e della banca romana, oppure sono rimasti fedeli agli ideali ma ora vivono in uno stato funereo, come donna Caterina, sorella del filo-borbonico don Ippolito e dell'estraniato "filosofo" don Cosmo, o il generoso e, furibondo per carattere, Mauro Mortara, che crede ancora che gli ideali garibaldini siano ancora vivi. A Girgenti si battono per la candidatura parlamentare i clericali con Ignazio Capolino appoggiato dal vescovo e dal ricco proprietario di terre e zolfare Flaminio Salvo. E i giovani? non hanno ricevuto nulla dai vecchi, solo Roberto Auriti si illude nel candidarsi per il partito democratico contro il parere della madre Caterina che sa che ormai tutto è corruzione; non a caso egli verrà arrestato per le turbolenze della banca romana. L'ingegnere del Salvo, Aurelio Costa, amante di Nicoletta Scoto, moglie di Capolino e in rapporti intimi con il Salvo, in una premeditata fuga d'amore verrano trucidati durante la rivolta degli zolfatari di Aragona. Insomma la trama è fittissima, piena di colpi di scena e di maschere che si ribaltano. Ma il senso di tutto è nelle parole di don Cosmo: "aver capito il giuoco.... di questo demoniaccio beffardo... che si spassa a rappresentarci di fuori, come realta" mentre tutto è un'illusione e ci deride. Ottima l'introduzione per la trama e la nota filologica finale.
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